I comportamenti concludenti, nel linguaggio giuridico, sono quei fatti che dimostrano in forma tacita la volontà negoziale delle parti. In pratica corrispondono a un atteggiamento incompatibile con una diversa volontà desumibile dai fatti.
Risulta essere concludente ogni comportamento che, nonostante non sia di tipo verbale, sulla base delle circostanze da cui è accompagnato, presuppone o lascia supporre che il soggetto che lo mette in atto abbia voglia di negoziare. Un sinonimo di comportamento concludente è manifestazione tacita, e, per quanto detto, evoca una condotta significativa, espressione di una volontà negoziale, anche se non espressa esplicitamente. Non esiste, però, un significato predeterminato di un comportamento concludente, perché la volontà del soggetto viene ricostruita sulla base dell’analisi del contegno tenuto.
Se, per esempio, parcheggio l’auto sulle strisce blu, segnalo l’intenzione di contrarre con l’ente pubblico o privato gestore del parcheggio a pagamento, così come se salgo su un autobus, manifesto la volontà di contrarre un servizio di trasporto di persone con la società di linea. La manifestazione tacita può desumersi dagli usi e dalla sensibilità sociale. Nei casi appena citati è evidente che l’uso determina l’intenzione dell’automobilista di contrarre con la società di gestione delle strisce blu, così come il passeggero di avvalersi del servizio trasporto.
Si ha il problema di valutare in quali casi sia possibile per il soggetto che ha messo in atto una manifestazione tacita dichiarare di essersi sbagliato. Sul piano giuridico, il silenzio generalmente non ha alcuna valenza. Il motto chi tace acconsente non ha alcuna validità. Al silenzio è assegnato un valore, solo se concorrono anche altre condizioni. Allo stesso modo, in alcuni casi non è possibile dedurre una volontà negoziale da una manifestazione tacita, come per i contratti di fideiussione.
Secondo una tesi minoritaria, non farebbero parte dei comportamenti concludenti le dichiarazioni implicite, perché in questi casi il soggetto emette una comunicazione negoziale, esternandone una diversa. Tornando al caso delle dichiarazioni silenziose, solo la legge, gli usi e le convenzioni possono attribuirgli un significato. Questo, perché il soggetto può tenere un comportamento inerte, ma solo per ignoranza del suo significato, per cui non sarebbe corretto desumere automaticamente da esso una determinata volontà negoziale. In alcune ipotesi, invece, è la stessa legge a stabilire che il silenzio implica un dato significato. Si pensi ai numerosi casi di silenzio assenso nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, quando questo presenta una determinata richiesta ed entro un termine massimo prefissato non riceve alcuna risposta. In questo caso, il legislatore assegna al silenzio, per ragioni di efficienza amministrativa e di difesa dei diritti del cittadino un significato favorevole al cittadino.
A parte questi casi espressamente previsti dalle leggi, il soggetto può eccepire che il suo silenzio non è stato consapevole, ovvero che non avrebbe potuto comportarsi diversamente con coscienza e volontà. L’atto viene così degradato a mero fatto giuridico. Secondo la dottrina, poi, sono ipotesi diverse dai comportamenti inconcludenti anche le dichiarazioni legali tipiche per inavvertenza o trascuratezza, in quanto prive dell’univocità e dell’unidirezionalità, che sono considerati requisiti indispensabili per assegnare al silenzio o all’inerzia un significato.
In generale, si ritiene che il silenzio di un soggetto coinvolto in una trattativa contrattuale possa considerarsi idoneo a manifestare la volontà di contrarre del soggetto, qualora sia accompagnato da circostanze e situazioni, oggettive e soggettive, che implichino, secondo il comune modo di agire, un dovere di parlare. Pertanto, il silenzio, inteso come assenza di dichiarazione e di qualsiasi altro atteggiamento dal quale possa ricavarsi l’intenzione negoziale di un soggetto, non costituisce mai una volontà giuridicamente rilevante, tranne che le parti non vi abbiano attribuito con anticipo un significato positivo, frutto di manifestazione di volontà, oppure quando le legge o gli usi comuni non gli assegnino un preciso significativo o quando le circostanze siano tale da renderlo il segno di volontà delle parti a contrarre.
Quando l’ordinamento non prevede l’adozione di una forma o non impone al soggetto di tenere determinati comportamenti, il silenzio assume una valenza giuridica, se circostanziato e se ricorrono le condizioni sopra indicate. In sostanza, bisogna decifrare il comportamento del soggetto silente e inquadrarlo all’interno di circostanze più ampie.