L’articolo 1321 del Codice Civile definisce il contratto come un accordo di due o più parti, avente effetti costitutivi, estintivi o modificativi, relativamente a un rapporto giuridico o di natura patrimoniale. Gli effetti di un contratto sono costitutivi, quando danno origine a un nuovo diritto, obbligatorio o reale. Sono, invece, estintivi, quando pongono fine a un rapporto. Infine, si definiscono modificativi, quando vanno a incidere su un rapporto esistente, dandogli un assetto differente.
L’articolo 1325 integra il contenuto dell’art.1321, prevedendo quali elementi costitutivi del contratto l’accordo, la causa, l’oggetto e la forma, se richiesta pena la nullità, si veda il caso di un contratto di alienazione di un bene immobile, per il quale è necessaria la forma scritta, pena la nullità del contratto. Dal combinato tra i due articoli sembrerebbe emergere quale elemento necessario del contratto la bilateralità o pluralità dell’accordo, anche se tale affermazione necessita di più attenta analisi. Si pensi, per esempio, al contratto unilaterale, che implica l’assunzione di obbligazioni a carico del solo proponente. Già da questo esempio si comprende come non sia condizione necessaria la bilateralità o pluralità delle parti per l’esistenza di un contratto. Analogo ragionamento vale per il contratto imposto o di fatto.
Parte della dottrina nega, quindi, che la pluralità delle parti sia un elemento imprescindibile del contratto, notando come in più casi lo stesso legislatore ignori tale assunto. Secondo i sostenitori della tesi della pluralità delle parti, invece, alla base del contratto deve necessariamente esservi un accordo tra due o più parti. Tale considerazione deriva dalla presunzione per cui nessuna modifica alla sfera giuridica di un soggetto sarebbe possibile, senza l’assenso dello stesso, che questa sia positiva o negativa. Si nega, quindi, la dichiarazione unilaterale altrui, che potrebbe provocare danni patrimoniali per il presunto beneficiario. Secondo questa interpretazione, l’individuo possiede una sfera di libertà intangibile dall’esterno. Pertanto, il contratto può derivare solo dalla volontà di due o più parti, con questa ad essere alla base del vincolo giuridico.
Questa impostazione è di tipo liberale, coerente con i sistemi giuridici dell’Ottocento, impostati sull’esaltazione della libertà individuale. Verso la fine dell’Ottocento, però, sorge un altro tipo di impostazione sul piano dottrinale, che tende ad assegnare valore anche alle dichiarazioni unilaterali, nel caso in cui l’altra parte vi faccia affidamento e l’autore non sembri incapace di intendere e di volere, persino nel caso in cui essa si viziata da errore, incapacità. Si ha così la concezione del contratto di fatto, che supera quella precedente del contratto come fenomeno tipicamente individuale, sostituendolo con una visione sociale.
A questo punto, l’attenzione si sposta sul fatto, in quanto produttivo di conseguenze giuridiche. Assume maggiore importanza il principio solidaristico, fondato su una concezione oggettiva. Stando ad essa, l’oggettivazione del contratto offre rilievo a rapporti giuridici, che prescindono dall’accordo tra due o più parti, non presupponendo, quindi, più l’esistenza di un consenso reciproco. La dottrina tedesca ha per primo operato una distinzione tra vari tipi di contratti di fatto.
-Quelli derivanti da contatto sociale, dove il vincolo tra le parti sorge senza un vero e proprio contratto.
-I rapporti nulli. A questo proposito, l’art.2126 c.c. stabilisce che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetti per il periodo in cui il lavoro è stato svolto, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa. Se, poi, sono state violate norme a tutela del lavoratore, questi ha ugualmente diritto alla retribuzione.
-Rapporti di massa, che si svolgono sulla base di un obbligo di prestazione, distributori di bibite, self service per l’erogazione di carburante.
Quanto al contratto di fatto relativo all’art.2126, si potrebbe eccepire che esso non sia tale, trattandosi di violazione di norme civilistiche, per le quali è avvenuto l’incontro della volontà tra le parti e che il legislatore, in alcuni casi, tende a mantenerne gli effetti a tutela del contraente debole. Anche il contatto di fatto sorto da contatto sociale è di dubbia interpretazione, essendo una formulazione eccessivamente generica, mentre più appropriato appare il riferimento ai rapporti di massa, che si espletano tramite comportamenti concludenti. Per esempio, chi sale su un autobus o chi inserisce un gettone in una macchinetta erogatrice di bevande o di sigarette dà origine a un comportamento, che socialmente viene considerato un’accettazione implicita del contratto.
Si parla, infine, di contratto senza accordo, ovvero senza che rilevi il mancato incontro tra le volontà delle parti, quando una di queste mette in atto un comportamento concludente sul piano esteriore, anche senza volere aderire al contratto. In questo caso, è sufficiente che si renda conto delle conseguenze del suo comportamento per essere soggetto al vincolo giuridico. Un esempio. Un automobilista che parcheggia in un’area a pagamento. Egli potrebbe eccepire che non intende pagare, in quanto il suolo è pubblico, ma di fatto ha dato origine a un comportamento che va nel senso di aderire a un contratto chiaro. A nulla varranno le sue rimostranze, essendo stato segnalato con un cartello o eventualmente con la delimitazione dell’area con strisce blu il pagamento dovuto per il parcheggio dei veicoli.