Per contratto di stage si intende la possibilità fornita da un’azienda a un soggetto di effettuare un’esperienza lavorativa presso la propria sede, con l’obiettivo di garantirgli una formazione professionale. Nel mondo anglosassone, si usa l’espressione internship, che negli ultimi anni è in voga anche nel nostro paese. Lo stage consente l’inserimento nel mondo del lavoro di giovani neo diplomati, neo laureati, ma anche di persone che semplicemente vogliono cambiare lavoro e acquisire nuove competenze.
In Italia possono assumere un lavoratore con contratto di stage le aziende private, quelle pubbliche e le organizzazioni no profit. Non è obbligatorio erogare al praticante alcuna retribuzione, nemmeno un rimborso spese, essendo nella libertà dell’azienda decidere a quali condizioni praticare uno stage. Non sono obbligatori nemmeno i versamenti dei contributi previdenziali.
Il contratto di stage non ha una durata standard, in quanto può essere di 3 o 6 mesi, ma rinnovabile fino a un tempo massimo complessivo di un anno. Le aziende con oltre 20 dipendenti non possono assumere con contratto di stage personale per una percentuale superiore al 10% totale.
Come si può comprendere, le condizioni abbastanza agevolanti che il legislatore ha fissato per il contratto di stage puntano a stimolare l’occupazione, accompagnando l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, in una fase immediatamente successiva o contestuale allo svolgimento degli studi. La ragione alla base dello stage sta nel suo carattere formativo. Per questo motivo lo strumento è stato soggetto a varie modifiche negli anni, ma tutto sempre finalizzato ad incentivarne il relativo contratto, in modo da avvicinare i giovani e le imprese.
Per fare in modo che sia attivabile un contratto di stage, è necessario che venga sottoscritto un progetto formativo dell’ente promotore, da quello ospitante e dal tirocinante. L’ente promotore ha anche il compito di inviarne una copia alla Regione, al Ministero del Lavoro e alle rappresentanze sindacali. Le figure coinvolte questo contratto non si esauriscono con quelle appena citate, perché dobbiamo ancora aggiungere il tutor aziendale e il tutore dell’ente promotore. Il primo viene nominato dall’azienda ospitante e diventa praticamente il responsabile dello stage. Il tutor dell’ente promotore, invece, viene nominato da questo, per esempio l’università, e nei fatti sorveglia le attività svolte dal tirocinante.
Il contratto di stage, come abbiamo spiegato in precedenza, prevede una durata massima variabile, a seconda del soggetto che pratica il periodo di formazione e lavoro. Si va dai 4 mesi previsti per gli studenti degli istituti di secondo grado ai 24 mesi. Formalmente, esso non origina un rapporto di lavoro, per cui non prevede alcuna retribuzione. Risulta essere facoltà dell’azienda ospitante erogare allo stagista un rimborso spese, il quale sarà sottoposto a ritenuta d’acconto del 20% ai fini Irpef, in modo simile a quanto avviene con la ritenuta d’acconto per prestazione occasionale.
Che il contratto di stage venga individuato dal legislatore quale preziosa opportunità per avvicinare i giovani al lavoro lo conferma anche la legge che consente alle imprese che ospitano stagisti provenienti dal Sud Italia di detrarre in tutto o in parte dalle tasse le spese relative allo stage, ovvero quelle di vitto e alloggio. I giovani meridionali sono, infatti, i più colpiti dal fenomeno gravissimo della disoccupazione giovanile, con una percentuale in cerca di occupazione di oltre 50% per la fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Le norme in materia mirano, quindi, a incentivare le aziende a inserire tra il proprio personale, magari dopo un periodo di stage, proprio i giovani del sud, in modo da ridurne il tasso di disoccupazione.
Detto ciò, spesso il contratto di stage si traduce per l’impresa in una convenienza ad assumere lavoratori, senza offrire loro alcuna retribuzione, magari in sostituzione di una dipendente in maternità o per i periodi di picchi della produzione. Non vi è dubbio, infatti, che molto più di un contratto di collaborazione o di un’assunzione mascherata con l’obbligo di apertura di partita IVA, lo stage sia economicamente più competitivo. Nei fatti, però, molti stagisti, quando si accorgono che nei loro confronti non viene garantita alcuna reale formazione, divenendo semplice manovalanza a costo zero per imprese approfittatrici, rescindono il contratto ancora prima che questi finisca. I limiti imposti dal legislatore per le imprese di dimensioni non minime, oltre i 20 dipendenti, si pongono proprio l’obiettivo di disincentivare i datori di lavoro dall’utilizzare il contratto di stage quale alternativa per le assunzioni, altrimenti verrebbe meno la sua utilità, che ricordiamo consistere in un periodo di formazione per il tirocinante, in modo che successivamente questi possa avere quelle conoscenze pratiche ed esperienza minime per trovare un lavoro presso la stessa impresa ospitante o in un’altra.
Il contratto di stage, secondo la legge n.1859/62 è rivolto a tutti i soggetti che abbiano espletato l’obbligo scolastico e che si trovino nella condizione di disoccupato, inoccupato, appartenente alla UE anche extra comunitario, sempre che il suo paese d’origine offra condizioni di reciprocità. A potere promuovere un contratto di stage sono i centri, le agenzie e le sezioni circoscrizionali per l’impiego, gli istituti scolastici e gli atenei universitari, i provveditorati agli studi, gli organismi scolastici pubblici e non che rilascino titoli di studio legalmente validi, enti pubblici o a partecipazione pubblica che si occupino di formazione professionale, enti che offrono servizi di inserimento al lavoro per gli invalidi, organizzazioni no profit e cooperative sociali.
Il numero massimo di tirocinanti ospitabili in un’azienda è di uno per le realtà produttive fino a 5 dipendenti a tempo indeterminato, di 2 per le aziende con un numero di dipendenti a tempo indeterminati compreso tra 6 e 19, del 10% del numero dei dipendenti assunti a tempo indeterminato per le aziende dai 20 lavoratori in su.
A conferma dell’importanza assegnata dal legislatore allo strumento, si pensi che da anni il contratto di stage è obbligatorio per i corsi di studi universitari, sia per quelli di primo livello che per quelli di secondo livello. Prima di conseguire il titolo, lo studente è tenuto a sostenere un periodo di praticantato presso un’azienda pubblica o privata, svolgendo un progetto formativo relativo al corso frequentato. I risultati di questo obbligo, tuttavia, per il momento appaiono deludenti. Gli studenti e gli stessi professori universitari vedono il più delle volte nello stage solamente una formalità burocratica da espletare per il conseguimento del titolo, specie nelle zone economicamente più depresse d’Italia. Gli stessi enti ospitanti si limitano a garantire spesso l’offerta delle ore minime di stage previste, ma senza un reale scopo formativo e senza alcuna prospettiva veritiera di tenere il tirocinante in considerazione per una possibile assunzione al termine del periodo di praticantato. Chiaramente, non parliamo di tutti casi, ma di una parte abbondante di essi. L’imposizione di uno stage per legge, dunque, non pare stia funzionando, per quanto la legislazione sia da ritenersi positiva per via del tentativo di avvicinare due mondi purtroppo distanti, quello della scuola e l’altro del lavoro.
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