L’azione revocatoria ordinaria è un mezzo con il quale un soggetto provvede alla conservazione della garanzia patrimoniale del debitore contro gli atti compiuti da questo ai suoi danni. Per capire meglio di cosa parliamo, facciamo un semplice, quanto efficace, esempio.
Immaginiamo che Tizio abbia un debito di 100000 euro con Caio e che si renda conto di non essere più in grado di onorarlo. In un determinato momento, egli decide di vendere la sua casa, suo unico immobile di valore disponibile. Caio lo scopre e fiutando la frode ricorre all’azione revocatoria, in quanto la casa alienata a terzi rappresentava l’unica garanzia per il suo credito, in assenza della quale avrebbe poche speranze di rivalersi effettivamente sul debitore.
Grazie all’azione revocatoria, Caio conserva i suoi diritti, avendo la possibilità di escutere il bene alienato, la cui cessione, è bene precisarlo, non è stata annullata. Semmai, a non valere nei suoi confronti è l’efficacia della transazione, nel senso che Caio potrà comportarsi come se la vendita della casa non sia mai avvenuta, potendo prendere possesso al verificarsi dell’inadempienza del debitore.
Per fare in modo che sia possibile tentare la carta dell’azione revocatoria è necessario che vi siano due presupposti. Il primo è che il debitore sia a conoscenza del danno che potenzialmente può essere arrecato al creditore. Qualora esso fosse stato compiuto prima della contrazione del debito, per fare in modo che sia considerato una frode, è necessario che esso risulti essere stato preordinato con lo scopo di danneggiare successivamente il futuro creditore, mi vendo la casa, in modo che quando Caio mi presterà denaro, non potrà rivalersi sull’immobile di mia proprietà per il caso di inadempienza.
Il secondo presupposto per l’azione revocatoria è che l’atto compiuto dal debitore deve essere in grado di provocare un danno concreto al creditore. Se Tizio ha diverse case di proprietà e tutte di rilevante valore e vende una di queste, senza che ciò arrechi pregiudizio alle probabilità di Caio di riscuotere integralmente il suo credito, l’azione revocatoria non potrà essere esercitata, perché non esiste qui il danno potenzialmente provocato dall’atto.
Restando sempre in tema di presupposti necessari, se l’atto è stato compiuto a titolo oneroso, deve essere provata la malafede dell’acquirente, nel caso in cui l’atto sia avvenuto prima della nascita dell’obbligazione, deve essere dimostrato che il terzo acquirente abbia operato in accordo con il futuro debitore al fine di arrecare un danno al creditore, privandolo di una garanzia.
Se l’atto è stato compiuto, invece, a titolo gratuito, non è necessario provare la malafede dell’acquirente, essendo sufficiente che l’atto produca un danno a carico del creditore. Un caso classico di atto a titolo oneroso è la compravendita di un bene, immobile o mobile, mentre a titolo gratuito si ha, per esempio, per i casi di donazione.
Cerchiamo di capire come si prova la malafede dell’acquirente. La legge consente al creditore di utilizzare a tale fine qualsiasi mezzo. Il giudice potrebbe trovare sufficiente come prova l’eventuale basso prezzo della compravendita. Esso, infatti, sarebbe il corrispettivo ottenuto dall’acquirente per fare un favore al debitore, che così riuscirebbe a sottrarsi parzialmente all’obbligazione.
A tale proposito, va riconosciuto che il debitore conserva la libertà negoziale e di disporre dei suoi beni, anche perché se il corrispettivo dell’alienazione di un bene avviene ai prezzi di mercato, il creditore non subisce un danno, in quanto la sua garanzia avrebbe semplicemente cambiato forma, traducendosi da fisica a monetaria. Il problema esiste, però, quando il prezzo pattuito per l’alienazione è inferiore al valore reale di mercato del bene ceduto. Indipendentemente da ciò, infine, è anche oggettivo che il denaro sia più facilmente occultabile rispetto a un bene mobile e immobile. Il debitore potrebbe semplicemente nasconderlo da qualche parte o intestarlo a terzi su un conto bancario, opponendo al creditore di averlo interamente speso per altre sue necessità. A quel punto, frode palese o meno, ci sarebbe poco da fare.
Come detto, l’azione revocatoria non annulla gli effetti della transazione, ma origina la sua efficacia relativa, non avendo effetto nei confronti del creditore procedente, che provando la malafede dell’acquirente potrebbe così aggredire il bene venduto nei casi di inadempienza contrattuale del debitore cedente. Al contempo, però, le norme garantiscono la posizione dell’eventuale sub acquirente, se in buona fede, nei casi in cui il primo acquirente abbia a sua volta ceduto a terzi il bene.
L’azione revocatoria si prescrive entro il termine dei 5 anni dalla produzione dell’atto pregiudizievole degli interessi del creditore.
C’è ancora una precisazione da fornire, che riguarda la simulazione di un atto di cessione di un bene. In questi casi, infatti, tra il debitore e l’acquirente si ha la produzione di un atto fittizio, teso a sottrarre formalmente il bene dal novero delle garanzie a disposizione del creditore. In questi casi di finta alienazione, il creditore non deve esperire un’azione revocatoria, ma cercare di dimostrare la simulazione dell’atto di alienazione.