Per azioni possessorie si intendono quelle a tutela dello ius possessionis, anche se il possesso è illegittimo, in mala fede, sempre che abbia i caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale sulla cosa e il potere di fatto non venga esercitato per pura tolleranza dell’avente diritto. Si caratterizzano per essere strumenti snelli, rispetto ad altre azioni, come quelle tese a vedersi tutelato un diritto reale, le quali presuppongono che si provi la titolarità del diritto.
Le azioni possessorie previste dal legislatore sono due, l’azione di reintegrazione e l’azione di manutenzione. La prima è regolata dall’art.1168 del Codice Civile e si ha in presenza di uno spoglio violento e clandestino. Esso recita quanto segue, chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno sofferto dallo spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo. L’azione è altresì concessa a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità. Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio. La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà di fatto, senza dilazione.
In pratica, l’azione di reintegrazione ha la funzione di recuperare il possesso della cosa, per cui non può essere proposta nel caso di distruzione totale della cosa, caso in cui origina il diritto al risarcimento del danno subito. L’azione è esperibile in due casi, di spoglio violento o clandestino. Nel primo caso, la giurisprudenza concorda ormai nel ritenere che non sia necessario che vi sia stata violenza fisica, essendo sufficiente che il possesso della cosa sia stato sottratto senza la volontà effettiva del titolare del diritto. Quanto, invece, alla clandestinità, essa viene intesa quale spoglio avvenuto all’insaputa del possessore, il quale viene a conoscenza in un momento successivo, sempre che tale mancanza di conoscenza non sia dovuta a negligenza del possessore spogliato o delle persone che lo rappresentano.
Per spoglio si intende non solamente la sottrazione del possesso del bene, ma pure la restrizione o la riduzione delle facoltà relative al potere dello spogliato, così come ogni azione che turbi il godimento, rendendolo meno agevole per il possessore, o anche un cambio nella destinazione d’uso. Inoltre, non è necessario che lo spoglio abbia natura permanente, sempre che esso implichi la privazione del possesso del bene per un periodo duraturo e non transitorio, ovvero che avvenga per un periodo di tempo apprezzabile.
Altro elemento che per giurisprudenza viene richiesto per lo spoglio è quello soggettivo, vale a dire l’animus spogliandi o turbandi, ovvero la consapevolezza di privare o restringere l’altrui possesso di un bene, con l’intento di sottrarlo o di renderne più disagevole il godimento o di cambiarne la destinazione d’uso. In presenza, però, anche solo di un consenso implicito da parte del titolare del possesso originario, si esclude che si possa parlare di spoglio violento o clandestino.
A differenza di quanto avviene con l’azione di manutenzione, quella di reintegrazione spetta anche al detentore, oltre al possessore, per cui, per esempio, ha legittimazione attiva anche il locatario di un immobile. Quanto al legittimato passivo, esso è non solo l’autore materiale, ma anche l’eventuale morale, ovvero sia chi sia stato il mandante dello spoglio che anche chi ne abbia tratto giovamento in maniera consapevole.
L’azione di manutenzione, invece, è prevista dall’art. 1170 c.c., che prevede che chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di una universalità di mobili può, entro l’anno dalla turbativa, chiedere la manutenzione del possesso medesimo. A differenza dell’azione di reintegrazione, questa può essere esperita anche solo per i casi di apprezzabile disturbo accusato nel corso del possesso di un bene immobile, di un diritto reale su un immobile o un’universalità di mobili. Condizione necessaria per esperire l’azione di manutenzione consiste nell’avere esercitato il possesso in modo continuo, pacifico e ininterrotto per almeno un anno. Anche nel caso in cui il possesso fosse conseguenza di un’azione di spoglio violento o clandestino, l’azione di manutenzione potrebbe essere esperita, decorso un anno dal termine in cui la violenza vi è stata o la clandestinità sia cessata. All’atto dell’esperimento della domanda deve esservi non già una privazione del possesso del bene, ma un disturbo al suo godimento.
La molestia può essere di fatto o di diritto. Nel primo caso si tratta di qualsiasi limitazione o turbativa del possesso altrui, mentre nel secondo parliamo di atti che modificano o tendano a modificare il possesso o lo stato del possesso. A tale proposito, si sottolinea come non sia necessario che l’azione di disturbo sia stata completata, essendo sufficiente la volontà del dichiarante di mettere in atto tale azione, minacciando una lesione del possesso altrui. Il giudice può ordinare la riduzione in ripristino, ricreando le condizioni alterate dall’azione turbante.