La bancarotta preferenziale è un reato, che in Italia viene punito, quando un imprenditore paga alcuni creditori a svantaggio di altri, nel caso in cui il fallimento dell’azienda sia prevedibile. La V sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n.32725/2014, ha confermato la condanna in primo e secondo grado a carico di un imprenditore, in relazione proprio al reato di bancarotta preferenziale. Questo , in quanto questi, nella qualità di liquidatore, aveva soddisfatto alcuni creditori, senza rispettare il loro ordine, incassando anche il proprio compenso.
La difesa aveva fatto appello contro la sentenza di primo grado, eccependo che i pagamenti effettuati fossero finalizzati al risanamento dell’impresa, un fatto apparentemente confermato dalla firma di fideiussioni a garanzia dei creditori della società.
La Corte di Cassazione, nonostante abbia rilevato la prescrizione del reato, ha confermato la sentenza di condanna in secondo grado, stabilendo che nell’ipotesi di società fallita, il liquidatore che si ripaghi per l’attività svolta deve rispondere di bancarotta preferenziale, non essendo operata dalle norme alcuna distinzione, in base alla natura del creditore.
Quanto alla sussistenza del dolo, i giudici supremi hanno stabilito che essa si ravvisi ogni qualvolta colui che agisce ai danni di altri creditori lo faccia anche senza una finalità specifica, essendo sufficiente che dalla sua azione possa scaturire un danno per gli altri. Tale dolo specifico viene meno solo quando l’imprenditore fallito agisce con il fine unico o prevalente di salvaguardare l’attività, ma se a questo si somma anche la finalità di tutelare alcuni creditori al posto di altri, il reato di bancarotta fraudolenta si considera commesso.
Dunque, il reato è da escludersi quando l’imprenditore agisce nell’intenzione di evitare il fallimento, secondo criteri di verosimiglianza e concretezza, mentre si ha quando egli è consapevole che il dissesto non potrà ragionevolmente essere evitato, indipendentemente dalle sue finalità, che potrebbero consistere semplicemente nel volere evitare il dissesto.
La bancarotta preferenziale è prevista come reato all’art.216 della legge fallimentare, all’interno della bancarotta fraudolenta. Il condannato rischia una pena detentiva da 1 a 5 anni, nel caso in cui esegua pagamenti o simuli una prelazione in favore di alcuni creditori, che vada a discapito di altri.
Facciamo un esempio per comprendere meglio questa fattispecie. Immaginiamo di essere un imprenditore e di avere contratto con 5 soggetti diversi debiti per 100.000 euro ciascuno. In totale, quindi, ho un debito, per ipotesi non assistito da garanzie reali, per 500.000 euro. Supponiamo di essere consapevole che a breve la mia impresa fallirà, visto che sono amico di uno dei miei creditori, decido di versargli i 100.000 euro, ovvero tutta la liquidità che mi è rimasta in cassa. Il caso rappresenta perfettamente una bancarotta preferenziale, perché va detto che nel momento in cui ho soddisfatto l’amico creditore, non ho commesso un reato, in quanto il versamento della cifra era un mio dovere. Tuttavia, visto che l’atto, formalmente lecito, è avvenuto a ridosso di un fallimento, si configura quale reato. Infatti, una volta che l’impresa sia stata dichiarata fallita, il curatore fallimentare dovrebbe suddividere i 100.000 euro rimasti in cassa in maniera equa tra i 5 creditori, ciascuno dei quali incasserebbe, quindi, 20.000 euro. Questo non sarà più possibile, perché un solo creditore si è preso tutto, mentre gli altri sono rimasti senza niente.
Attenzione, il creditore soddisfatto, in questo caso, l’amico che si è preso tutti i 100.000 euro, non ha commesso un reato, perché era suo diritto riscuotere la somma. Dunque, non dovrà restituire niente. Tuttavia, qualora abbia istigato l’imprenditore debitore a pagarlo senza rispettare i diritti degli altri creditori, potrà rispondere di concorso morale nel reato.
Nel caso in cui l’imprenditore si sia reso responsabile di più condotte di questo tipo, all’intero dello stesso disegno criminoso, volto a sottrarre il patrimonio ad alcuni dei creditori e in favore di uno o più di loro, vi sarà una sola fattispecie di reato, applicandosi la sola pena della cornice edittale, che magari spingerà il giudice a comminare una pena più verso la parte alta di quanto previsto dalle norme. Un esempio, l’imprenditore cerca di sottrarre ai creditori una somma di 100.000 euro, ma lo fa attraverso cinque distinte operazioni da 20.000 euro ciascuna.
Quando, invece, le condotte siano molteplici, alternative tra di loro, si applicherà l’unificazione prevista dall’art.219, per cui la pena risulterò aumentata. Infine, qualora le condotte siano state eterogenee e fonte di diversi reati, si applicherà la disciplina del concorso di reati, per cui il giudice comminerà una pena pari alla somma delle pene, che il condannato avrebbe riportato distintamente.
La peculiarità di questo reato, per quanto abbiamo potuto notare e spiegare, consiste nel fatto che si considera tale solo con la pronuncia della sentenza di fallimento del giudice, anche se l’atto sia stato commesso anteriormente. Non è un caso che con la dichiarazione del fallimento, il giudice dispone la nomina di un curatore fallimentare, il cui compito principale è proprio quello della conservazione del patrimonio, al fine di tutelare tutti i creditori.