A fronte del diritto di azione sta il dovere decisorio del giudice cioè il dovere di compiere tutti quegli atti che coordinandosi a vicenda conducono alla pronuncia del provvedimento sul merito, ossia alla decisione. Il dovere decisorio è fondato sull’art. 112 cpc che stabilisce che “ il giudice deve decidere su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa, Corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Possiamo dire, dunque che l’ambito della dovere decisorio del giudice è determinato dall’ambito della domanda a cominciare dalla sua attitudine ad ottenere la pronuncia sul merito. Il contenuto del dovere decisorio del giudice è il giudizio che è la sintesi di due distinti momenti logici:
L’enunciazione in astratto dell’attuale portata della norma, giudizio di diritto
Riscontro che, nel caso concreto, si sono verificati i fatti costitutivi e gli eventuali fatti lesivi, Giudizio di fatto.
La sintesi di questi due momenti è il sillogisma del giudice o giudizio nel quale la premessa maggiore è il giudizio di diritto in cui il giudice opera come giurista mentre la premessa minore è costituita dal giudizio sul fatto in cui il giudice opera come storico. Naturalmente il sillogisma non è altro che uno schema di una serie di operazioni mentali più complesse. Bisognerà tener presente che innanzi tutto ciascuna delle due premesse costituisce a sua volta il risultato di un giudizio, almeno in senso logico. I due giudizi non possono compiersi indipendentemente l’uno dall’altro perché il giudizio di diritto presuppone un primo orientamento che deve essere dato dai fatti, mentre il giudizio di fatto presuppone la messa a fuoco di elementi rilevanti che a sua volta presuppone il riferimento alla portata della norma.
Se il giudice non decide su tutta la domanda può verificarsi una totale o parziale omissione di pronuncia mentre se eccede i limiti della domanda può verificarsi il vizio di ultrapetizione quindi svolgerebbe un’attività non solo non dovuta ma non richiesta.
La correlazione tra il dovere decisorio e la domanda della parte è espressione del principio di disponibilità della tutela giurisdizionale che ispira l’art 2097 il quale enuncia che la tutela giurisdizionale è presentata “su domanda di parte e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero o d’ufficio”. La regola della disponibilità della tutela giurisdizionale trova immediata correlazione in un’altra regola: il principio della domanda che stabilisce che chi vuol far valere un giudizio deve proporre la domanda al giudice competente, colui che propone la domanda acquista un diritto al processo e al conseguente potere decisorio del giudice in quanto il dovere viene in essere solo se c’è la domanda ed è la domanda che vincola il giudice al dovere di giudicare.
Il giudice è vincolato, inoltre, a pronunciarsi su tutta l’estensione della domanda, in questo senso si parla di disponibilità dell’oggetto del processo in capo a colui che propone la domanda. In particolare tale vincolo si manifesta con riguardo al tipo di azione esercitata (di mero accertamento, di condanna, costitutiva), sia nell’ambito del giudizio (di diritto e di fatto) ma è proprio nei fatti costitutivi e solo nei loro riguardi che si manifesta l’esclusiva dell’attore nella determinazione del dovere del giudice e quindi dell’oggetto del processo.
Ma poiché nel momento del giudizio che riguarda le norme, pur dovendo applicare le norme del diritto (art 113 cpc) è libero di applicare le norme che ritiene meglio applicabili nel caso concreto, fatto salvo il dubbio di costituzionalità o di interpretazione del diritto comunitario, ne consegue che la disponibilità dell’oggetto del processo si concentra e si concreta in quella parte di domanda che contiene l’affermazione dei fatti costitutivi e degli eventuali fatti lesivi. Il giudice deve giudicare su tutti i fatti che solo allegati o affermati nella domanda e solo su quelli ma a quei fatti può applicare le norme di diritto che ritiene più adeguate.
La pronuncia secondo equità
La pronuncia secondo equità costituisce un’eccezione di cui alla regola dell’art 113 cpc, secondo il quale il giudice nel giudicare deve seguire le norme di diritto. In determinati casi particolari può risultare più opportuno che il giudice lasci da parte la regola generale e astratta per cercare, formulare e applicare una regola particolare per il caso concreto che elabora nella propria coscienza (cd equità sostitutiva). In questi casi il giudice opera come legislatore e giudice insieme. Ma per l’anomalia della deroga alla portata generale delle norme, l’equità sostitutiva non può essere imposta alle parti. Nel nostro ordinamento il giudizio di equità quando è imposto o necessario riguarda solo il giudizio innanzi al giudice delle cause minori o giudice di pace. La legge prevede anche il ricorso anche all’equità (integrativa) per integrare la portata di determinate norme, questo fenomeno è diverso perché consiste in un giudizio fondato sulla norma che rimanda all’equità solo per specificare elementi non configurabili in astratto.
Il principio della disponibilità delle prove
Ci si domanda se il giudice oltre ad essere vincolato dalla disponibilità dell’oggetto del processo con riguardo ai fatti affermati o allegati dalle parti, sia vincolato anche sul modo di giudicare su quei fatti cioè di potersi avvalere soltanto degli strumenti di convincimento ( prove ) che gli sono forniti dalle parti, oppure possa acquisire prove di sua iniziativa . A questo risponde l’art 115 cpc che enuncia anche la sussistenza di tale vincolo ma “ salvi i casi previsti dalla legge”il che significa che la disponibilità in capo alle parti si estende anche alle prove (principio della disponibilità delle prove) ma solo in modo limitato cioè nel senso che la scelta del nostro ordinamento tra un sistema di tipo inquisitorio, caratterizzato dal fatto che il giudice ha facoltà di iniziativa nell’avvalersi dei mezzi di prova, o un sistema dispositivo, si è ispirata ad un sistema di dispositivo attenuato che pur vincolando il giudice alle offerte di prova delle parti contempla casi previsti dalla legge che costituiscono eccezioni importanti.
I casi previsti dalla legge riguardano:
I fatti notori: il giudice può porre a fondamento della sua decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art 115 cpc);
La richiesta d’ufficio di informazioni alla P.A. (art 213 cpc);
Il potere di disporre un interrogatorio non formale delle parti (art 117 cpc)
Il sistema dispositivo viene sostituito da elementi inquisitori nel processo del lavoro in cui è previsto che il giudice possa disporre d’ufficio l’ammissione di ogni mezzo di prova e nel processo davanti al giudice monocratico il quale può disporre d’ufficio prove testimoniali.
Per quanto riguarda la valutazione delle prove l’art 116 cpc enuncia il principio della libera valutazione da parte del giudice secondo il suo prudente apprezzamento.
Impulso si parte e impulso d’ufficio. La funzione del PM nell’ambito del sistema di impulso di parte
Con riguardo all’iniziativa nella richiesta di tutela giurisdizionale occorre tenere presente la portata determinate della disponibilità di tale tutela e dell’oggetto del processo come conseguenza di diritti disponibili, in questo caso il sistema ad impulso di parte non ha alternativa se non con riguardo a particolari eccezioni. Se però di tratta di diritti indisponibili perché coordinati con interessi pubblici il mantenimento della tecnica ad impulso di parte postula la configurazione di un soggetto che eserciti l’impulso di parte nell’interesse pubblico. Tale soggetto è il Pubblico Ministero che, dotato di poteri analoghi a quelli delle parti, li esercita nell’interesse pubblico. Con questa scelta il legislatore ha conseguito il fine di sottrarre ai privati l’esclusiva nel far valere diritti indisponibili senza rinnegare la scelta di fondo di un sistema imperniato sull’impulso di parte e sul sistema dispositivo. Così il PM se dal punto di vista della funzione può essere ricondotto ad un processo ad impulso d’ufficio, dal punto di vista tecnico si inquadra interamente negli schemi del processo ad impulso di parte.
Il principio del contraddittorio e il diritto costituzionale alla difesa
L’art. 101 del cpc sotto la rubrica “principio del contraddittorio” enuncia che il giudice non può pronunciare su alcuna domanda se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa. Quest’ultima o soggetto passivo della domanda è colui che subirà gli effetti della pronuncia richiesta e che per questo motivo deve essere “regolarmente citato”, cioè messo in condizione di comparire davanti al giudice , se lo vuole, e di contrastare la domanda rivolta contro di lui. Da questa regola si risale al principio del contraddittorio al quale è intitolata la norma che si riconduce a sua volta al principio di uguaglianza delle parti secondo cui chi subirà gli effetti del processo deve poter svolgere in quel processo un ruolo attivo. A ciò è finalizzato il diritto costituzionale alla difesa cioè il diritto del soggetto passivo della domanda di essere posto concretamente in condizione di difendersi attraverso la regolarità della citazione il cui scopo si rivela già conseguito se il soggetto passivo della domanda compare davanti al giudice. La comparizione del soggetto passivo davanti al giudice è considerata come un sintomo del fatto che il soggetto sia posto in condizione di conoscere le modalità della sua chiamata innanzi al giudice, la sua comparizione è dunque un requisito sostitutivo rispetto alla regolare citazione sicchè la congiunzione “e” dovrebbe essere riferita solo all’ipotesi dell’irregolarità della citazione e come alternativa alla regolarità stessa. La comparizione del soggetto passivo della domanda toglie rilievo ad ogni eventuale vizio della citazione. In sintesi audiatur altera pars, ciò però non impedisce che vi siano eccezioni purchè il legislatore faccia salvo il principio dell’uguaglianza delle parti e della possibilità di difendersi: es. domanda proposta con ricorso o procedimento ingiuntivo nei quali la legge consente addirittura una pronuncia inaudita altera parte.