L’esdebitazione è, nel diritto italiano, l’istituto giuridico che consente all’imprenditore persona fisica, non alla società, di liberarsi dai debiti non onorati, al termine della procedura fallimentare, a determinate condizioni.
L’art.142 della legge fallimentare consente l’accesso al beneficio dell’esdebitazione solo l’imprenditore persona fisica che abbia cooperato con gli organi della procedura fallimentare, fornendo loro documenti e informazioni utili, che non abbiano beneficiato nei dieci anni precedenti di un’altra esdebitazione, che non abbia depauperato l’attivo patrimoniale, che non abbia riportato a bilancio debiti inesistenti, che non abbia aggravato lo stato di dissesto, rendendo più difficile la ricostruzione del patrimonio, che non sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o delitti contro l’economia pubblica, il commercio e l’industria.
Un altro requisito necessario per l’accesso al beneficio è che l’imprenditore abbia almeno parzialmente soddisfatto i creditori con la procedura concorsuale.
Una volta accertata l’esistenza di tutte le suddette condizioni, il Tribunale dichiara inesigibili tutti i crediti non interamente soddisfatti e sorti anteriormente al fallimento, con l’eccezione di quelli che fanno riferimento a rapporti estranei all’azienda, come il mantenimento e gli alimenti, nonché delle sanzioni pecuniarie e amministrative.
Vediamo quale risulta essere l’intento dell’esdebitazione. Quello di consentire all’imprenditore fallito di tornare a fare impresa, ovvero a creare nuova ricchezza, avviando un’altra attività, cosa che altrimenti non sarebbe possibile fare. Attenzione, non è una norma a beneficio solo e tanto del fallito, ma dell’economia nazionale, perché solo consentendo a chi ha subito un fallimento di rimettersi in gioco si potrebbero creare condizioni per le quali lo stesso ridiventi utile alla società, nonostante non abbia potuto soddisfare per intero i suoi debiti.
L’art.143 della legge fallimentare prevede che l’esdebitazione sia concessa con lo stesso decreto di chiusura del fallimento o con l’emanazione di un decreto a parte ed entro un anno dalla chiusura del fallimento. Contro il decreto è ammesso ricorso alla Corte di Appello.
Da un punto di vista procedurale, abbiamo davanti a noi due ipotesi, una che parte dall’iniziativa del debitore fallito e un’altra che ha origine, invece, in una iniziativa del tribunale.
Partiamo dalla prima, il debitore fallito fa ricorso entro un anno dalla chiusura del fallimento. Il tribunale sente il comitato dei creditori e il curatore fallimentare e se ritiene che sussistano tutte le condizioni previste dall’art.142, lettera f, dichiara inesigibili i crediti non soddisfatti nel corso della procedura fallimentare. I creditori non interamente soddisfatti possono proporre reclamo contro questa decisione
Nella seconda ipotesi, in seguito alla chiusura del fallimento, il tribunale, sentito il comitato dei creditori e il curatore, accertatosi della sussistenza delle condizioni previste dall’art.142 e dei comportamenti collaborativi dell’imprenditore fallito, può decretare l’inesigibilità dei crediti non interamente soddisfatti, liberando così il debitore.
Possono proporre reclamo contro il decreto sia lo stesso debitore, oltre che i creditori non interamente soddisfatti e il pubblico ministero.
In seguito alla concessione dell’esdebitazione, i creditori non potranno pretendere nemmeno gli interessi e si estingueranno anche le garanzie reali, come ipoteca e pegno, anche restano intatti gli obblighi dei coobbligati e dei fideiussori, oltre che degli obbligati in via di regresso.
I creditori non possono, quindi, richiedere il pagamento dei crediti ammessi allo stato passivo e che non sono stati interamente soddisfatti e dei crediti sorti anteriormente al fallimento, per i quali non era stata presentata domanda di ammissione allo stato passivo. In quest’ultimo caso, l’esdebitazione si ha solo per la percentuale eccedente a quella attribuita ai creditori di primo grado.
Per adesso abbiamo parlato di esdebitazione, ma con riferimento solamente agli imprenditori falliti, mentre dobbiamo completare il discorso con un altro caso possibile, quello riguardante i consumatori. La legislazione prevede, infatti, che a questo istituto possano ricorrere anche persone fisiche, che si siano indebitate per scopi estranei all’attività d’impresa.
Anche nel caso di consumatori, quindi, che si siano indebitati a livelli insostenibili, è possibile ricorrere all’esdebitazione. Si può arrivare a un accordo con i creditori, siano essi consumatori o imprenditori, oppure si può ottenere la liquidazione dei loro beni.
In ogni caso, anche i consumatori, al pari degli imprenditori falliti, possono ottenere la liberazione dai debiti. Le condizioni previste sono simili a quelle sopra indicate per gli imprenditori, ma con alcune differenze. Si richiede che il debitore abbia mostrato uno spirito collaborativo nel corso della procedura, che abbia fornito le informazioni e i documenti richiesti, che si sia adoperato per lo svolgimento proficuo delle operazioni, che non abbia usufruito di una precedente esdebitazione negli otto anni precedenti, che non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per la violazione delle regole alla base del contratto del consumatore, che abbia svolto nei 4 anni successivi alla domanda di liquidazione un’attività atta a produrre reddito e in linea con le proprie competenze e la situazione del mercato; che abbia cercato e non abbia rifiutato senza giustificato motivo, nei 4 anni successivi, una proposta di lavoro.
Anche in questo caso, il debitore deve aver parzialmente soddisfatto il proprio credito. Risulta essere esclusa la concessione dell’esdebitazione, quando è stato il debitore stesso ad avere provocato la crisi da sovraindebitamento, contraendo crediti che vanno oltre le proprie capacità di reddito e patrimoniali, oppure, anche quando nei 5 anni precedenti abbia effettuato atti di frode ai danni dei creditori, ovvero disponendo parte del patrimonio con il fine di sottrarlo alle eventuali richieste future dei creditori.
Dunque, anche in questo caso notiamo come il legislatore si preoccupi che l’esdebitazione non sia la soluzione facile invocata dal debitore per sfuggire alle sue responsabilità, ma quella alla quale fare affidamento per i casi, in cui non esisterebbe alcuna alternativa valida e dopo avere accertato la buona fede del debitore stesso.
Anche in questo caso non possono essere oggetto di esdebitazione i debiti riguardanti il mantenimento, gli alimenti, quelli derivanti dal risarcimento del danno extracontrattuale, oltre che relativi a sanzioni pecuniarie e amministrative. Lo stesso vale per i debiti fiscali con causa anteriore alla data di apertura della procedura, ma che siano stati accertati successivamente.
Il debitore può presentare richiesta di esdebitazione entro l’anno dalla chiusura della procedura di liquidazione. A quel punto, il tribunale sente il comitato dei creditori e verifica la sussistenza delle condizioni per accedere al beneficio, nel quale caso lo concede. Risulta essere possibile opporre reclamo da parte dei creditori parzialmente insoddisfatti.
Il decreto può essere impugnato e annullato su istanza dei creditori, qualora si provi che il debitore abbia volutamente diminuito o aumentato il passivo; quando una parte dell’attivo è stata sottratta al patrimonio con intenti di frode; quando sono state simulate attività inesistenti.
Dunque, l’esdebitazione è un istituto non semplice da ottenere, essendo necessaria l’esistenza di condizioni soggettive e oggettive per la sua concessione da parte del giudice. Alla base di tutto c’è la buona fede del debitore, sia esso un imprenditore fallito o un consumatore.
Vediamo cosa fare allora nel caso di indebitamento non più sostenibile. Per prima cosa, bisogna cooperare con gli organi della procedura di liquidazione e già prima bisogna essere stati in buona fede e non avere dato vita ad azioni fraudolente. Successivamente, bisogna pagare almeno parte dei debiti contratti e fare richiesta al giudice, sempre che nei 10 anni precedenti, 8 per i consumatori, non si abbia già ottenuto l’esdebitazione per altri debiti. Infine, i consumatori devono stare attenti anche alle azioni compiute successivamente all’ottenimento del beneficio, ad esempio, non rifiutando immotivatamente un posto di lavoro, il cui reddito garantirebbe risorse potenziali per il soddisfacimento dei creditori.