Fonti Atto e Fonti Fatto

Fonte è una parola che trae origine dal latino fons, che significa provenienza. Pertanto, quando parliamo di fonti giuridiche, facciamo riferimento all’origine da cui provengono le norme del diritto. Una caratteristica degli ordinamenti moderni è la pluralità delle fonti, che si suddividono principalmente in due grandi categorie, fonti di produzione e fonti di cognizione. Le prime sono i fatti, dai quali si fanno derivare le modifiche del diritto oggettivo, ovvero le leggi, i decreti leggi, i decreti del Presidente della Repubblica. Le seconde, invece, sono gli strumenti, grazie ai quali si viene a conoscenza delle fonti di produzione, come la Gazzetta Ufficiale della Repubblica, la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea e i bollettini ufficiali delle Regioni.

A loro volta le fonti di produzione si suddividono in fonti atto e fonti fatto. Le prime sono le norme giuridiche scritte emanate dagli organi preposti, come le leggi del Parlamento e firmate dal Presidente della Repubblica. Le fonti fatto, invece, consistono in comportamenti spontanei della collettività, che ripetendosi nel tempo vengono considerati idonei a produrre norme giuridiche. Sono esempi gli usi e le consuetudini. Si pensi alla determinazione delle provvigioni dovute al mediatore immobiliare, che in mancanza di accordo con le parti, vengono fissate dal giudice secondo gli usi del luogo in cui è avvenuta la transazione. Evidente, in questo caso, come le stesse norme assegnino importanza ai comportamenti reiterati della collettività, assegnando loro una rilevanza sul piano giuridico, chiaramente non dovendo contrastare con le leggi vigenti, che godono sempre di una classificazione superiore nella gerarchia giuridica.

Le fonti fatto sono una categoria residuale, mentre nel caso delle fonti atto, per fare in modo che la volontà del soggetto sia idonea a produrre effetti normativi e diventare vincolante per tutti, essa deve essere riconoscibile. Per questa ragione, è essenziale che l’atto venga emanato nel rispetto della forma, ovvero riportando l’intestazione dell’organo emanante, per esempio Decreto del Presidente della Repubblica, il nome proprio dell’atto, per esempio Decreto Legge o Decreto Legislativo, e il procedimento di formazione dell’atto.

Per procedimento si intende la sequenza di atti, tesi all’emanazione della norma. Da un punto di vista redazionale, l’atto è suddiviso in articoli, gli articoli in commi e spesso una rubrica segnala l’argomento, i quali a loro volta possono essere raggruppati in capi e questi ultimi in titoli e parti.

Abbiamo accennato poco fa agli usi e alle consuetudini, chiarendo che esse rientrino tra le fonti fatto. Si tratta di una categoria sparuta, in quanto l’ordinamento ne fa riferimento esplicito, anche in deroga alle norme vigenti, in pochi e specifici casi, che hanno a che vedere con la contrattualistica. In altre parole, il legislatore ha riconosciuto che alcuni comportamenti sociali reiterati nel tempo sono suscettibili di divenire fonti fatto, ovvero vincolanti per tutti. Il problema è il riconoscimento di tali usi e consuetudini, non essendo norme codificate. Per questo, il Ministero dell’Industria e le Camere di Commercio predispongono raccolte generali, che funzionano da semplici fonti di cognizione. A questo proposito, l’ausilio di Unioncamere è decisivo, dotata di un apparato di enti territorialmente sparsi e potendo così rilevare meglio del legislatore stesso l’esistenza di usi e consuetudini di rilevanza spesso locale. Questi si presumono esistenti fino a prova contraria.

Le consuetudini interpretative, invece, non hanno valore di fonti del diritto, trattandosi dell’interpretazione di una disposizione di legge da parte degli interpreti, ovvero consistono in un atteggiamento stabile di questi, ma non in un comportamento sociale al quale la società assegna una rilevanza vincolante.

Le consuetudini facoltizzanti sono, poi, comportamenti che le norme non vietano esplicitamente, anche se non si è spesso nemmeno più in grado di stabilire se siano diventate obbligatorie. Sono esempi la nomina da parte del governo di organi non necessari o l’apposizione della fiducia su atti dello stesso, al fine di mettere il Parlamento davanti a una scelta secca tra sostenere l’esecutivo o farlo cadere, con tutte le conseguenze del caso.

Sulla base dell’art.10 della Costituzione si hanno anche le consuetudini internazionali, che nonostante non abbiano origine dai trattati, consistono in norme che, una volta accertatane l’esistenza da parte del giudice, devono essere applicate nell’ordinamento italiano, come se fossero state emanate da un organo interno, in quanto accettate dalla generalità degli stati.

Tre le fonti fatto forse più note negli ultimi anni, troviamo le norme prodotte dall’Unione Europea e dal diritto privato internazionale, richiamate nel nostro ordinamento, nonostante non siano state emanate da alcun organo italiano. Non essendo state emanate in Italia, tuttavia, sono considerati meri fatti giuridici. Lo stesso discorso vale per i casi in cui il giudice sia costretto ad applicare le leggi di un altro paese, quando abbia a che fare con beni o soggetti di altri stati. In questi casi le fonti atto di un altro paese diventano fonti fatto per il nostro ordinamento.

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