Secondo l’art.641 del Codice Penale, Chiunque, dissimulando il proprio stato di insolvenza, contrae un’obbligazione col proposito di non adempierla è punito, a querela della persona offesa, qualora l’obbligazione non sia adempiuta, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 516 euro. L’adempimento dell’obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato.
Sul piano giuridico, l’insolvenza fraudolenta si trova in una posizione a metà tra il reato di truffa e la semplice inadempienza contrattuale. Abbiamo un creditore che contrae, confidando sull’adempimento dell’obbligazione della controparte, e una parte debitrice, che dal momento della stipula del contratto si pone come obiettivo di non adempierla. Il reato scatta con l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo presupposto fondamentale risiede nella dissimulazione dello stato d’insolvenza, così come il proposito di non adempierla si configura quale premessa indispensabile.
In questo caso a essere tutelato come bene è la buona fede contrattuale. Il dolo consiste nel non volere adempiere l’obbligazione a partire dal momento in cui è sorta l’obbligazione, oltre che nella volontà consapevole di non adempierla successivamente. Inoltre, bisogna dissimulare lo stato d’insolvenza. Questa dissimulazione può consistere in varie forme, come un comportamento negativo, il silenzio o la menzogna. Tuttavia, la concreta distinzione con il reato di truffa sta nel fatto che, a differenza di questo, con l’insolvenza fraudolenta non vengono messi in atto veri e propri artifizi o raggiri per indurre l’altra parte a stipulare il contratto.
Non si configura quale reato di insolvenza fraudolenta la condotta di chi, all’atto della stipula di un contratto, si riserva mentalmente di non adempiere all’obbligazione, ma per una causa diversa dallo stato di insolvenza simulata, come nel caso di ripicca. Per insolvenza si intende l’impossibilità a pagare nel momento in cui è sorta l’obbligazione, mentre se questa è sopravvenuta non costituisce reato.
Riassumendo, si ha il reato di insolvenza fraudolenta, quando una parte contrae un’obbligazione con l’intento di non adempierla. Deve trattarsi di obbligazione contrattuale, ovvero volontaria, lecita e in grado di produrre effetti giuridici. Inoltre, deve consistere in un dare e non in un fare una specifica attività in favore dell’altra parte.
Quanto alla prova della preordinata volontà della parte di non adempiere all’obbligazione a partire dal suo sorgere, essa può essere riscontrata in comportamenti univoci e ricavabili dal contesto dell’azione, anche messi in atto successivamente alla contrazione dell’obbligazione, mentre il semplice inadempimento costituisce indizio di dolo, non reato in quanto tale.
Fino a quando non viene consumata l’inadempienza contrattuale, non vi è reato. Quanto ai termini per presentare querela di falso, questi scattano non dal momento in cui si verifica l’inadempienza contrattuale, ma dal momento in cui la parte creditrice ha avuto certezza della simulazione dello stato di insolvenza della controparte debitrice.
Nel reato di truffa, l’agente induce l’altra parte a stipulare il contratto, attraverso comportamenti che si configurano quali raggiri o artifizi, anche mentendo sullo stato di solvenza con argomentazioni e atti propri o con il sostegno di terzi. Con l’insolvenza fraudolenta, invece, la parte creditrice stipula il contratto senza che sulla sua volontà di farlo abbiano influiti raggiri o artifizi messo in atto dall’altra parte, rilevando solo l’intento della parte debitrice di non adempiere all’obbligazione e l’effettivo mancato inadempimento.
Anche il silenzio si può configurare tra gli elementi messi in atto dall’agente per dare origine al reato di insolvenza fraudolenta, nel caso in cui questi abbia omesso di comunicare all’altra parte lo stato di insolvenza e lo abbia fatto con il preciso proposito di non adempiere successivamente all’obbligazione.
Come sopra scritto, il reato scatta formalmente con l’inadempimento contrattuale, la cui data dovrà essere accertata sulla base delle norme che regolano la materia civilistica. La conseguenza è che esso non può configurarsi, anche in presenza del mancato intento di adempiere, se non sia prima scaduto il termine relativo. Nel caso in cui l’obbligazione fosse adempiuta prima della condanna di primo o secondo grado, il reato si estingue.
La Cassazione ha sentenziato nel 2011 che non trattasi di insolvenza fraudolenta la stipulazione di un contratto da parte dell’agente con l’intento di non adempiere all’obbligazione, se la riserva mentale non fosse collegata allo stato di insolvenza. Nel caso specifico, il soggetto inadempiente aveva sottoscritto alcune cambiali senza volerle pagare e non ha adempiuto ai pagamenti, ma perché sosteneva che il debito fosse stato acceso in relazione all’acquisto di una vettura che non andava bene su strada.
Per quanto sopra detto, aspetto fondamentale per configurare o meno il reato di insolvenza fraudolenta sta nel proposito del soggetto a non adempiere all’obbligazione, indipendentemente dallo stato effettivo di solvenza o meno all’atto della stipula del contratto. Per esempio, se un individuo contrae debiti, con la consapevolezza di navigare in cattivie acque sul piano finanziario, ma con la speranza di poterli ripagare, nel caso di insolvenza mancherebbe la frode, in quanto non vi sarebbe stato intento di non adempiere, per cui saremmo in presenza di una semplice inadempienza contrattuale, rilevante sul piano civilistico.