L’interrogatorio si definisce formale, quando viene assunto dal giudice, ad istanza della parte contrapposta a quella che deve essere interrogata, ponendo a questa le domande formalmente predisposte dalla prima. L’intento è di arrivare a una confessione giudiziale. Per questo, si distingue dall’interrogatorio libero o non formale, che si tiene in prima udienza di trattazione o in ogni altro grado successivo del processo, al fine di acquisire ulteriori elementi probatori o di valutazione. In questo caso, le domande vengono formulate dal giudice e non dalle parti.
La confessione giudiziale può essere resa liberamente da una delle parti o tramite, appunto, interrogatorio formale. Le parti, infatti, possono chiedere che vengano ascoltati i testimoni e che la controparte venga interrogata su specifici capitoli. Non è ammesso porre domande su capitoli non concordati, salvo che le parti non convengano di renderle possibili o che il giudice non le consideri utili.
La parte sottoposta ad interrogatorio deve rispondere personalmente e non avvalendosi di scritti, anche se il giudice le può consentire di avvalersi di note o appunti, specie se debba fare riferimento a nomi o cifre. Quando l’interrogatorio formale è stato ammesso e risulta essere stata fissata l’udienza, se la parte da interrogare non si presentasse senza giustificato motivo o se si rifiutasse di rispondere alle domande, il giudice può considerare i fatti dedotti nell’interrogatorio come ammessi, sempre valutando ogni altro elemento di prova. Al contrario, se il giudice ritiene che la mancata comparizione sia giustificata, può disporre che l’assunzione avvenga fuori dalla sede giudiziaria.
Per confessione intendiamo la dichiarazione di una parte su fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla controparte. Essa costituisce prova piena contro chi la rende, sempre che non verta su diritti indisponibili. Nonostante non sia una dichiarazione di scienza, la confessione produce effetti dispositivi paragonabili a quelli negoziali. Una volta resa, essa può essere revocata solo per errore di fatto o violenza.
Ai sensi dell’art.232 c.p.c., la valutazione della mancata risposta all’interrogatorio formale rientra tra le facoltà del giudice, il quale può farsi un’opinione sui fatti anche dal comportamento delle parti. La mancata risposta all’interrogatorio formale costituisce un comportamento processuale qualificato, che può fornire elementi di valutazione idonei a integrare il convincimento del giudice su fatti circostanziati. Tuttavia, se lo stesso giudice ritiene che i fatti dedotti non siano suffragati da elementi di riscontro, può decidere di negare loro una valenza probatoria, non prescindendo comunque dalla valutazione del comportamento negativo della parte.