Il lodo arbitrale, o anche semplicemente lodo, è in diritto un negozio giuridico, simile alla sentenza, con cui si conclude un arbitrato. Esso è regolato dal Libro IV, Capo IV del codice di procedura civile. Da non confondere il lodo arbitrale con l’espressione giornalistica impropriamente utilizzata in Italia per alcune leggi varate dal nostro Parlamento.
Il termine lodo deriva dal latino laudum e significava l’approvazione del signore feudale. Il verbo lodare fu utilizzato nel Medioevo con il significato di arbitrare. Oggi, il lodo designa la decisione emessa da arbitri imparziali, che pongono fine al conflitto tra due parti.
Secondo il codice civile, al termine del procedimento arbitrale, l’arbitro è tenuto a depositare il lodo presso la cancelleria del tribunale nel termine perentorio di cinque giorni. Senza il deposito, il lodo è giuridicamente inesistente e, pertanto, non ha efficacia negoziale tra le parti. Queste non possono così nemmeno avviare un’azione ordinaria come per i casi di violazione di un contratto, potendosi limitare a un’azione risarcitoria nei confronti dell’arbitro inadempiente.
Effettuato il deposito, il pretore firma un decreto di esecutività, con il quale il lodo acquista efficacia esecutiva, ovvero produce gli effetti di una sentenza. Con la legge 9 febbraio 1983 n.28, il lodo diventa vincolante tra le parti dal momento della sua ultima sottoscrizione, mentre il deposito è facoltativo. Questo è pre condizione per il decreto di esecutività, ma sin da subito acquista valore di contratto. Dal 1994, anche l’impugnazione per nullità non è più sottoposta all’obbligo di deposito. Appena emesso, il lodo può essere impugnato per nullità. Non è un atto appellabile, ma impugnabile, quindi, solo in alcun casi di censura con impugnazione a critica vincolata.
Dal febbraio del 1998, la figura del pretore è stata soppressa in favore di quella del giudice del Tribunale per tutti i diritti civili sin dal 1999 e per anche quelli penali dal 2000.
In generale, il lodo può essere definito come quel provvedimento decisorio e conclusivo di un procedimento arbitrale, idoneo a risolvere la controversia sottoposta all’attenzione dell’arbitro. Uno dei problemi da sempre suscitati riguarda la sua efficacia, ovvero dell’assimilabilità del lodo a una sentenza emessa dal giudice.
La materia è stata oggetto di numerosi interventi legislativi, tra cui la riforma del 2006. Questa con l’articolo 824 bis del cpc ha equiparato il lodo alla sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria, salvo le limitazioni contenute nell’art.825. Dal combinato dei due articoli emergerebbe, quindi, che il lodo gode degli effetti tipici di una sentenza per l’accertamento, la condanna, il suo carattere costitutivo, mentre non anche per quello esecutivo. Infatti, per fare in modo che il lodo sia anche un titolo esecutivo, è necessario che sia sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria.
Per fare in modo che sia esecutivo, la parte interessata deve attivare la procedura prevista dall’art.825 cpc, ovvero deve proporre istanza, depositando il lodo in originale o copia conforma insieme alla convenzione di arbitrato presso la cancelleria del Tribunale in cui si trova la sede dell’arbitrato. Il Tribunale esamina il lodo e lo dichiara esecutivo per decreto.
Tuttavia, il lodo ha un valore intrinseco, essendo, per esempio, anche adempiuto spontaneamente dalle parti, anche in assenza di un decreto di esecutività del giudice.
Va detto che l’intento della riforma del 2006 era quello di rendere sempre meno distante sul piano dell’efficacia il lodo rispetto alla sentenza emessa dal giudice, puntando a smaltire il carico di processi pendenti dinnanzi ai tribunali italiani.
Tuttavia, la giurisdizione non ha mutato orientamento, continuando a rimarcare la natura diversa del lodo rispetto alla sentenza con funzione giurisdizionale. Per esempio, è stato affermato che un procedimento arbitrale non andrebbe sospeso per la pendenza di un altro giudizio arbitrale sulla medesima controversia, data la sua natura privata, che non porrebbe problemi di coesistenza di più giudicati.
Da questo si desume che gli sforzi del legislatore sono stati quasi del tutto vanificati, anche perché è emerso come non sia esso a potere assegnare natura giuridica a un istituto, ma questa deve desumersi dal sistema complessivo. La conseguenza è che le decisioni degli arbitri non sarebbero affatto assimilabili alle sentenze dei giudici, dato che esse sono frutto del consenso degli interessati.
Il lodo ha natura privatistica e negoziale, per cui alla fine il legislatore ha equiparato l’istituto alla sentenza solo con riferimento al regime processuale, essendo la decisione arbitrale immodificabile da parte dell’arbitro che l’ha emessa e impugnabile solo attraverso gli strumenti previsti dall’art.827 cpc, non anche attraverso le ordinarie impugnazioni negoziali.
Resta il fatto che in dottrina esistono ancora oggi due orientamenti prevalenti contrapposti. Il primo equipara sostanzialmente il lodo alla sentenza, considerando che non vi sarebbe differenza tra sentenza e contratto risolutivo di una controversia. Il secondo qualifica il lodo come atto tipicamente negoziale, visto che la decisione si fonda sul consenso delle parti. Una terza impostazione minoritaria, infine, ritiene che il lodo arbitrale non sia una sentenza e un contratto.