Patto di Riservato Dominio

La vendita con patto di riservato dominio può riguardare beni immobili, mobili e mobili registrati, senza alcuna limitazione prevista dalle leggi, e consiste nella possibilità riservata a un venditore di cedere un bene a terzi, riservandosi il diritto di proprietà fino al pagamento dell’intero prezzo pattuito tra le parti. In sostanza, parliamo della possibilità di acquistare un bene a rate da terzi, se questi accetta i pagamenti dilazionati nel tempo, senza ottenere nell’immediato la proprietà del bene, ma solo al versamento dell’ultima rata. L’acquirente si assume così il rischio di danneggiamento o perimento della cosa. La disciplina si desume dal combinato tra gli articoli 1643, 2054 e 1523 del Codice Civile.

Come detto, il patto di riservato dominio può riguardare ogni categoria di beni, a patto che non siano consumabili o destinati alla trasformazione o all’incorporazione in altri beni, tranne che trasformazione o incorporazione non siano incluse esplicitamente nel patto che prevede un prodotto finito e che tali operazioni avvengano prima del pagamento pattuito.

Vediamo cosa accade nel caso in cui l’acquirente non adempia del tutto alle sue obbligazioni. Il venditore ha il diritto di riprendersi il bene oggetto del contratto attraverso l’istituto della risoluzione, indipendentemente dalla cifra già versata dall’acquirente. Tuttavia, al fine di evitare abusi, il Codice prevede che il venditore non abbia il diritto di riprendersi il bene qualora i pagamenti della controparte siano stati sempre regolari o se il mancato pagamento riguardi l’ultima rata, sempre che questa non superi un ottavo dell’ammontare totale pattuito.

La risoluzione del contratto, però, non è un’azione obbligata dal venditore, che può limitarsi a chiedere all’acquirente il versamento delle rate restanti o a procedere nei suoi confronti con un’azione esecutiva sui beni di questo, compreso quello oggetto del patto di riservato dominio. In questo caso, però, tale azione legale prevede una rinuncia tacita al bene in questione, in quanto non avrebbe altrimenti senso e nemmeno valore esecutivo, trattandosi di richiesta di restituzione già contemplata dall’art.1526 c.c.

Nel caso di richiesta di restituzione del bene, il venditore deve restituire all’acquirente mancato le rate da questi versate, salvo avere diritto a un equo compenso per il godimento del bene e anche per il possibile lucro cessante, ovvero i mancati guadagni accusati per l’avere consegnato nel periodo dato il bene a terzi. Se i mancati guadagni non sono quantificabili, provvederà il giudice a farlo con una valutazione equitativa.

Se il giudice decide che il venditore possa trattenere le rate versate dall’acquirente a titolo di indennità, questa potrà essere ridotta, qualora il suo ammontare fosse ritenuto eccessivo, in relazione alla prestazione oggetto del contratto di patto con riservato dominio. Questo tipo di contratto è anche opponibile ai creditori dell’acquirente, sempre che sia recante data certa anteriore al pagamento delle transazioni commerciali.

Esistono da questo punto di vista diversi punti di contatto con la disciplina del leasing immobiliare, che in Italia si sta diffondendo negli ultimi anni, anche se è tipico del mondo anglosassone, grazie ai numerosi vantaggi che esso offre. Trattasi, come sappiamo, della concessione del godimento di un bene dietro il pagamento prefissato di rate alle date scadenze. Attraverso il leasing, chi intende usufruire di un immobile ottiene una sorta di finanziamento per il suo acquisto, in quanto è chiara la sua volontà di acquistarlo, che emerge dal fatto che il contratto non coincide con la durata del bene, che conserverà un certo valore di mercato al termine di esso, magari anche maggiore rispetto alla data di inizio del contratto.

Per questo, il contratto di leasing traslativo è assimilato alla disciplina della vendita con riservato dominio, come da riscontro nelle sentenze della Corte di Cassazione, secondo le quali la durata di tali contratti non è legata a quella dello sfruttamento economico del bene, ma è più breve, con la conseguenza che alla scadenza il bene avrà ancora un suo valore di mercato e che i canoni versati dall’utilizzatore non sonoun puro corrispettivo per il godimento del bene, ma anche, in parte, il prezzo di acquisto del bene.

Sulla base di tali similitudini, si ha che l’utilizzatore non ha un diritto reale sul bene, riscontrando limiti nel diritto di proprietà, che resta in capo al venditore fino al pagamento dell’ultima rata per il prezzo pattuito. Infatti, ipotizzando il caso di un immobile, l’acquirente entra in possesso del bene all’atto del rogito notarile, ma il diritto di proprietà viene acquisito solo quando avrà finito di pagare tutte le rate previste.

La vendita con patto di riservato dominio può risultare estremamente importante in una fase economica negativa, come quella dell’Italia negli ultimi anni. Quando la congiuntura si fa difficile, le banche stringono i cordoni della borsa e chi intende acquistare casa non trova facilmente accesso al credito, necessario in molti casi per provvedere al pagamento immediato dell’intero prezzo richiesto dal venditore. Del resto, lo stesso proprietario di un immobile rischia di trascorrere mesi, se non qualche anno, prima di trovare un acquirente alle condizioni richieste. Potrebbe accadere, quindi, che entrambe le parti possano convenire sull’opportunità di dare origine subito alla transazione, ma con accorgimenti per evitare problemi, ovvero che il proprietario venda con riservato dominio l’immobile, di fatto rimanendone titolare fino al versamento dell’ultima rata da parte dell’acquirente. Questi inizierà a effettuare i pagamenti, di fatto comportandosi come se fosse il proprietario del bene, seppure non lo sia formalmente, ma con la possibilità, nel corso dei mesi e degli anni, di ottenere finalmente dalla banca la cifra necessaria per provvedere al saldo e diventare così proprietario dell’immobile a tutti gli effetti.

Insomma, la vendita con patto di riservato dominio potrebbe tradursi in una sorta di transazione immediata, magari nell’attesa di una schiarita del mercato del credito. Non solo, ma con il trascorrere del tempo, la cifra necessaria per saldare il proprietario, ovvero il mutuo richiesto, diminuisce, rendendo sempre più probabile l’erogazione del finanziamento da parte dell’istituto.

Certo, l’acquirente corre di fatto un rischio, ovvero di non essere più in grado, a un certo punto, di affrontare il pagamento delle rate, risultando inadempiente e perdendo gran parte, se non tutta la cifra sborsata. Si dirà, che nel frattempo avrà goduto del bene utilizzato, per cui sarebbe come se avesse pagato un canone per usufruire di un immobile o di altro tipo di bene. Ciò è vero fino a un certo punto, perché è chiaro che i pagamenti rateali pattuiti siano di importo superiore a quello che sarebbe fissato con un contratto di locazione, in quanto inclusivi proprio della finalità dell’acquisto e non solamente del godimento del bene. In altre parole, se prendo in locazione un immobile a 500 euro al mese, lo stesso mi costerebbe presumibilmente di più, magari 700 o 800 euro mensili, se siglo con il proprietario un contratto di vendita con riservato dominio. La quota eccedente è, appunto, quella che verso per l’acquisto del bene, che se non avvenisse per l’impossibilità di adempiere il contratto, rappresenterebbe per l’acquirente mancato una perdita, un di più sborsato, a fronte di un impegno, che non è risultato più sostenibile. Si consideri, infine, che il proprietario del bene potrebbe chiamare la controparte a pagare per i mancati guadagni, come sopra spiegato, cosa che innalzerebbe la perdita potenziale effettiva per colui che non ha adempiuto al contratto.

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