Si definisce prova testimoniale la raccolta di dichiarazioni sotto giuramento, rese da soggetti che fanno parte del processo e che sono a conoscenza dei fatti in causa. Si tratta di uno strumento probatorio, che per molto tempo è stato considerato legato strettamente al processo, ma che viene disciplinato sia dal codice civile che dalle norme processuali, contenute nel codice di rito.
Anche se il giudicante gode di ampia discrezionalità, alla prova testimoniale sono posti diversi limiti, che la giurisprudenza ritiene che siano dovuti non per ragioni di ordine pubblico, quanto nell’interesse privato delle parti, l’infrazione di tali limitazioni può comportare la nullità a carattere relativo, ma non rilevabile d’ufficio, per cui può essere sanata se non viene eccepita dalla controparte in prima istanza o difesa successiva alla verificazione, tale principio è derogato solamente per quei casi, dove la scrittura è imposta dalla legge a pena di nullità, cioè non per la prova, ma per la sua stessa esistenza.
La prova testimoniale è esclusa dall’art.2.721 c.c. per i casi, in cui il valore dell’oggetto sia superiore a 2,58 euro. Si tratta chiaramente di una previsione del tutto anacronistica, che si giustifica con il fatto che il codice civile fu scritto nel 1942. Infatti, nel secondo comma dello stesso articolo si prevede una certa flessibilità nel limitare i mezzi probatori, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza. Dunque, il giudice potrebbe rilevare che per valori superiori a 2,58 euro, anche se non eccessivi, tenuto conto dei prezzi attuali del mercato, la prova sia ammissibile.
A tale proposito, la giurisprudenza sancisce che sia insindacabile quanto stabilito dal giudice di merito, che potrebbe andare oltre le limitazioni previste dal comma 1 dell’art.2.721 c.c., così come potrebbe decidere di attenersi strettamente ad esse. Nell’uno e nell’altro caso, egli non è tenuto in alcun modo a motivare la sua decisione, che è, quindi, ineccepibile.
Non è ammessa la prova per testimoni nei casi di patti aggiunti o contrari al contenuto del documento, la cui stipulazione è anteriore o contestuale. Tale divieto, però, ha precisato la giurisprudenza si ha per i documenti contrattuali, ovvero frutto di una negoziazione tra due contraenti, mentre non vale per gli atti unilaterali, come le quietanze.
Quanto ai patti aggiunti o contrari al contenuto del documento, stipulati posteriormente alla formazione di questo, l’art.2.723 c.c. stabilisce che la prova testimoniale è ammessa, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, sempre che essi appaiano verosimili.
Esistono, tuttavia, altre eccezioni ai divieti, di cui vi diamo conto. La testimonianza è ammessa per i casi di esistenza di un principio di prova per iscritto, ovvero se si dimostra l’esistenza di un nesso logico tra lo scritto e il fatto controverso, non essendo anche necessario avere un preciso riferimento a questo, ma una semplice verosimiglianza, quando il contraente non è nella possibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta, quando il contraente ha perso senza colpa il documento scritto, che gli avrebbe procurato la prova. A tale fine è necessario che la perdita sia avvenuta senza quei profili di negligenza e di imprudenza.. La discolpa non può essere eccepita automaticamente per i casi di affidamento del documento probatorio a terzi, essendo necessario in questi casi che la condotta dell’affidante sia stata prudente e che la perdita da parte dell’affidatario sia avvenuta senza colpa di questo.
L’art.244 c.p.c. stabilisce che la testimonianza delle persone è ammessa, a patto che si indichino nello specifico i testimoni e i fatti per i quali ciascuno di questi dovrebbe essere interrogato. Dunque, l’onere della deduzione specifica dei fatti ricade sui soggetti, che chiedono al giudice la testimonianza, non potendo citare fatti e circostanze in maniera imprecisa o generica. Allo stesso tempo, deve indicare puntualmente le persone da interrogare e i fatti per i quali dovrebbero testimoniare, anche in questo caso in maniera puntuale, in modo da consentire al giudice di sfoltire l’eventuale lunga lista dei testimoni richiesti, così come di valutare l’ammissibilità dei testimoni, oltre che alla controparte di approntare un’adeguata difesa.
Altro onere a carico di chi richiede la prova testimoniale è la specificazione dei fatti per articoli separati, nel senso che deve indicare le circostanze per le quali richiede le testimonianze in maniera separata e suddivise per articoli. In questo modo, il giudice potrà essere messo nelle condizioni di decidere l’ammissibilità fatto per fatto.
Una volta che il giudice ritiene ammissibile una testimonianza, egli stesso chiama la persona a testimoniare con un’ordinanza. Esistono ulteriore limitazioni, stavolta poste dall’art.246 c.p.c., che vieta la testimonianza di quei soggetti, che potrebbero avere nel giudizio un interesse a partecipare.
La parte interessata deve richiedere all’ufficiale giudiziario la notifica al testimone dell’intimazione a testimoniare, nella quale devono essere indicati il luogo, la data e l’ora, il giudice e la causa per la quale dovrà essere ascoltato.
L’intimazione può anche essere inviata dal difensore, attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno, telefax o posta elettronica certificata. Il difensore, che ha notificato al teste l’intimazione, deve depositarne presso la cancelleria una copia, insieme alla ricevuta di ricevimento dell’atto.
Il giudice istruttore può interrogare il testimone sui fatti, ponendogli su istanza delle parti o autonomamente tutte le domande, che ritiene utili a chiarire i fatti. Qualora emergano divergenze tra le testimonianze di due o più soggetti, il giudice può chiedere che siano messe a confronto.
Se il testimone non si presenta a deporre, nonostante abbia ricevuto la notifica dell’intimazione, il giudice può chiedere il suo accompagnamento coattivo nella medesima udienza o a quella successiva, potendogli comminare ai sensi dell’art 255 c.p.c. una sanzione pecuniaria minima di 100 e massima di 1.000 euro, tranne che egli sia impossibilitato a presentarsi o sia esentato dalle leggi o dalle convenzioni internazionali. In questo caso, il giudice potrà recarsi presso la sua abitazione o ufficio per interrogarlo, oppure delegare il magistrato competente, nel caso in cui il teste si trovi al di fuori della circoscrizione del suo tribunale.
Nel caso, invece, che il teste si rifiuti di rispondere alle domande o di giurare, il giudice può trasmettere gli atti al pm, denunciandolo ai sensi dell’art.256 c.p.c. Può anche accadere che un teste citi altre persone durante la sua testimonianza, che sarebbero a conoscenza di fatti di interesse per il giudizio. In questi casi, il giudice può sollecitare la loro deposizione.
Al contempo, il giudice può chiamare a testimoniare persone precedentemente escluse dalla lista dei testi ammessi, così come potrebbe richiamare a deporre i testi già ascoltati, al fine di verificarne le deposizioni o per correggere eventuali irregolarità.
Infine, il giudice può anche richiedere, dove lo ritenesse opportuno, che il teste risponda alle domande per scritto, compilando un apposito questionario, che dovrà avere cura successivamente di spedire in busta chiusa alla cancelleria entro un termine fissato, pena una sanzione pecuniaria variabile da un minimo di 100 a un massimo di 1.000 euro. Resta facoltà del giudice, una volta lette le risposte, di intimare al teste la deposizione verbale alla data, luogo e ora da lui fissati, oppure di inviargli un magistrato delegato allo scopo, qualora questi risieda al di fuori della circoscrizione del tribunale.