Provvedimenti del Giudice – Quali Sono

L’art. 131 prevede tre tipi di atti del giudice
-la sentenza
-l’ordinanza
-il decreto
La sentenza assolve la funzione decisoria (a conclusione del processo)
L’ordinanza ed il decreto assolvono la funzione ordinatoria (durante lo svolgimento del processo)

LA SENTENZA

La sentenza è il provvedimento del giudice con il quale egli assolve alla sua funzione decisoria e può essere:

di accoglimento o di rigetto della domanda

di mero accertamento: accerta il diritto assolvendo ad una funzione di certezza determinata dalla contestazione alla domanda;

di condanna: accerta il diritto e consente l’esecuzione forzata;

costitutiva: dopo aver accertato il diritto alla modificazione giuridica dà luogo a tale modificazione.

La sentenza può concludere o meno il processo, per cui si dice sentenza definitiva del processo con riguardo al merito o sul processo.

La sentenza sul processo riguarda le questioni di giurisdizione, di competenza o altre questioni definite dalla legge come pregiudiziali, attinenti al processo.

La sentenza può essere anche non definitiva, in quanto risolvendo una questione pregiudiziale non definisce il processo ovvero definisce il merito soltanto parzialmente.

L’art. 132 individua i requisiti di forma – contenuto della sentenza, quali:

indicazione del giudice che l’ha pronunciata

indicazione delle parti e dei loro difensori

conclusioni del PM e delle parti

esposizione concisa del processo e dei motivi in fatto ed in diritto della decisione (motivazione)

dispositivo, data della deliberazione e sottoscrizione del giudice

La mancanza di sottoscrizione determina la nullità assoluta ed insanabile della sentenza.

La sentenza, un volta sottoscritta, viene depositata nella cancelleria del giudice che l’ha emessa ed il cancelliere provvede alla sua pubblicazione, che le attribuisce efficacia: il cancelliere entro cinque giorni dalla pubblicazione ne dà notizia alle parti costituite mediante biglietto contenente il dispositivo o anche mediante telefax o posta elettronica ex art. 133 novellato dalla legge n. 80/2005.

L’eventuale successiva notificazione della sentenza è un atto dell’ufficiale giudiziario ad istanza della parte interessata per la proposizione di tutte le impugnazioni, tenuto conto che la data di pubblicazione della sentenza costituisce il dies a quo per la decorrenza del termine annuale di impugnazione in mancanza di notificazione della sentenza, altrimenti si procede con regolamento di competenza se nel caso siano decorsi tali termini (vedi artt. 327 e 47).

L’ORDINANZA E IL DECRETO

L’ordinanza assolve di regola alla funzione ordinatoria, regola lo svolgimento del processo e risolve le questioni procedurali, ed è pronunciata in contraddittorio tra le parti ed è succintamente motivata.

Eccezionalmente può assolvere a funzione decisoria nei casi previsti dalla legge.

L’ordinanza può essere pronunciata dal giudice in udienza ed è inserita nel processo verbale, ma può essere pronunciata fuori udienza, per cui essa va comunicata al cancelliere che la comunica alle parti ed è scritta in calce al processo verbale.

L’ordinanza non è impugnabile, ma revocabile. È ammesso che il giudice mediante ordinanza possa pronunciare provvedimenti che anticipano gli effetti della pronuncia definitiva di condanna.

Il decreto assolve alla funzione ordinatoria, e non decisoria, ed è adottato dal giudice senza contraddittorio tra le parti, per cui esso non va motivato, salvo che la legge prescriva diversamente.

Il decreto può essere pronunciato d’ufficio dal giudice o su istanza di parte, mediante richiesta nel processo verbale o con ricorso.

Il decreto va sottoscritto dal giudice. Quanto agli atti adottati dall’organo esecutivo del processo di esecuzione forzata non si parla di atti, bensì di operazioni.

LE COMUNICAZIONI E LE NOTIFICAZIONI

La comunicazione è l’atto con il quale il cancelliere, per dovere d’ufficio, informa i soggetti del processo che si sono verificati determinati fatti rilevanti per il processo stesso, come ad esempio la pronuncia dei provvedimenti del giudice.

Essa avviene mediante biglietto di cancelleria trasmesso per posta o notificato a mezzo ufficiale giudiziario.

La notificazione è un atto dell’ufficiale giudiziario, a seguito dell’istanza di parte o del PM o del cancelliere.

Ha la funzione strumentale di portare a conoscenza del destinatario l’esistenza di una altro atto che viene consegnato in copia e che attesta, con relazione l’avvenuta consegna, per cui la notificazione condiziona l’efficacia dell’atto oggetto di notificazione.

Il principio della congruità ispira la disciplina della notificazione, in quanto il suo scopo è quello di dare conoscenza legale dell’atto da notificare al destinatario dello stesso.

Ulteriori forme equipollenti alla notificazione non sono ammesse nel nostro sistema processuale, per cui la conoscenza dell’atto acquisita con altri mezzi è ritenuta irrilevante ai fini processuali.

La notificazione dell’atto può verificarsi:

con consegna in mani proprie dell’atto al su o diretto destinatario

con consegna dell’atto ad altre persone che diano però affidamento di effettuare la consegna a favore de destinatario, cercato nel comune di residenza o di domicilio.

in mancanza delle persone suddette, la copia dell’atto va notificata al portiere dello stabile dove è sita l’abitazione, l’ufficio, l’azienda del destinatario e se il portiere manca, a un vicino di casa che sottoscrive per ricevuta. L’ufficiale giudiziario deve indicare nella relazione della sua notifica le ragioni della mancata consegna dell’atto al suo destinatario e deve darne notizia della parte che lo ha incaricato dell’avvenuta notificazione dell’atto stesso.

In caso di irreperibilità del destinatario o inesistenza di persone che diano affidamento o di loro rifiuto, l’art. 140 prevede il deposito dell’atto nella casa comunale con affissione ed avvisi.

Se non sono conosciuti né residenza, né domicilio, né dimora del destinatario, l’atto è depositato nella casa comunale dell’ultima residenza altrimenti è consegnato al PM.

In tutti questi casi la notifica avviene nel 20° giorno successivo a quello dell’ultima formalità prescritta ex art. 143.

Se il destinatario dell’atto ha eletto domicilio presso una persona o un ufficio, la consegna della copia dell’atto avviene secondo le modalità di cui all’art. 141.

Per le notifiche all’estero si procede secondo le convezioni internazionali e se ciò non è possibile si applica l’art. 142.

Per le notifiche di atti a persone giuridiche si applica l’art. 145.

LA NULLITÀ DEGLI ATTI PROCESSUALI CIVILI IN GENERALE

Il legislatore ha, preferito configurare una particolare nozione della nullità specificamente per il diritto processuale civile, una nozione di nullità che ricomprende anche alcuni caratteri propri dell’ annullabilità. La nullità è intesa come inidoneità dell’atto a produrre i suoi effetti in conseguenza di un determinato vizio, la nullità è definita come oggetto di una pronuncia da parte del giudice; e, più precisamente, di una pronuncia, in mancanza della quale l’atto processuale produce egualmente i suoi effetti; una pronuncia, che non rileva solamente l’inefficacia dell’atto, ma di questa inefficacia è un elemento costitutivo.

All’annullabilità si contrappone la nullità nel senso che, mentre quest’ultima opera di diritto e può essere oggetto soltanto di una pronuncia di accertamento mero e dichiarativo, l’annullabilità invece rimane priva di conseguenze fino a quando non interviene la pronuncia del giudice, che ha portata costitutiva detta, appunto, di annullamento.

Nel diritto sostanziale la pronuncia di annullamento opera ex nunc, così contrapponendosi alla pronuncia dichiarativa della nullità, che invece opera ex tunc, in quanto l’atto non ha mai prodotto effetti; nella disciplina degli atti processuali, la pronuncia con la quale il giudice dà atto della nullità opera ex tunc con efficacia retroattiva, come un’autentica dichiarazione di nullità. Si tratta, quindi, di una pronuncia che, da un lato, come quella di annullamento, è essenziale per l’inefficacia dell’atto, mentre, dall’altro lato, dichiara che l’atto non ha mai avuto efficacia, come è proprio della dichiarazione di nullità.

Gli atti processuali, nonostante i vizi dai quali possono essere congeniti, sono comunque efficaci, sia pure in via momentanea, fino a quando una pronuncia del giudice che, rilevato il vizio, ne dichiari la nullità, sottrae loro – e fin dal momento in cui sono stati compiuti – quell’efficacia precaria che aveva consentito il compimento degli atti successivi nella serie procedimentale. Quella pronuncia determina a posteriori il crollo dell’intera serie di atti successivi; si evidenzia la portata dell’art. 159, che, sotto la rubrica «estensione della nullità», prevede «la nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti né di quelli successivi che ne sono indipendenti», aggiungendo che «la nullità di una parte dell’atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti» ed anco­ra precisando, nel 3 comma, che «se il vizio impedisce un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti ai quali è idoneo».

Disponendo che l’efficacia esiste fino a quando una pronuncia del giudice abbia dichiarato il contrario, l’ordinamento elimina, ogni possibilità di equivoci; mentre, d’altro canto, stabilendo che la nullità, una volta pronunciata, opera ex tunc e travolge gli atti che dipendono dall’atto nullo e soltanto quelli, l’ordinamento non fa che trarre le più logiche deduzioni dalla strutturazione del processo come serie di atti reciprocamente coordinati nel senso che gli effetti prodotti da un atto entrano a comporre la fattispecie che consente il valido compimento dell’atto successivo e così via fino all’ atto finale, ossia la sentenza.

LE RAGIONI CHE FONDANO LA PRONUNCIA DELLA NULLITÀ – I VIZI DELL’ATTO

La nullità è determinata da un vizio, ossia dalla mancanza di un requisito nella fattispecie dell’atto di cui si tratta. L’art. 156 sotto la rubrica «rilevanza della nullità», si riferisce esplicitamente l’ipotesi della mancanza di requisiti «di forma» o «formali».

Si pensi ai requisiti generali del processo, come i presupposti processuali:la competenza del giudice, la capacità processuale, il potere rappresentativo, la legittimazione processuale; oppure alle condizioni dell’azione come la legittimazione ad agire o l’interesse ad agire.

Il riferimento ai requisiti formali va inteso come esclusione dei requisiti non formali dalla disciplina generale delle nullità; secondo altri, tale disciplina generale si deve invece applicare in via analogica. Ma la soluzione migliore è considerare che anche i requisiti che inizialmente hanno natura non formale, finiscono – con lo svolgersi della serie degli atti – col divenire formali anch’essi, poiché quando un atto si compie senza che quello precedente abbia posseduto tutti i requisiti, si estrinseca in condizioni diverse da quelle volute dalla legge. Perciò è forse più corretto ritenere che questa disciplina delle nullità riguarda tutti i requisiti degli atti, considerati nel loro aspetto formale.

Pertanto, il criterio in base al quale la legge risponde al fondamentale interrogativo di cui trattasi – criterio enunciato nel 20 comma dell’art. 156 – è un evidente corollario del principio della strumentalità delle forme o della congruità delle forme allo scopo, ossia del principio – che trova il suo fondamento negli artt. 121 e 131. Il principio per il quale la disciplina delle forme di ciascun atto è in relazione con la funzione obbiettiva di tale atto, nel senso che i requisiti formali ai quali la legge attribuisce rilievo determinante sono quelli e solo quelli che sono necessari per il conseguimento della funzione o scopo obbiettivo dei singoli atti. In applicazione, di quel criterio o principio, l’art. 156 dispone che la nullità può essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.

La legge, quando dispone in concreto quali sono i requisiti degli atti, stabilisce anche, espressamente, che la loro mancanza dà luogo a nullità; perciò l’art. 156 prende in considerazione innanzitutto questa ipotesi, stabilendo che la pronuncia della nullità presuppone di regola che per il requisito mancante la legge abbia espressamente comminato la nullità.

Con questa regola, il legislatore, col comminare espressamente la nullità per il difetto di un requisito, ha già compiuto egli stesso una volta per tutte, quella valutazione circa l’indispensabilità del requisito per il raggiungimento dello scopo dell’atto, che, negli altri casi, affida invece al giudice. Ciò che conferma, che il perno della disciplina dei vizi rilevanti per la pronuncia della nullità, è la regola enunciata dal 2° comma dell’art. 156.

Quest’ultima constatazione può essere ribadita anche con riferimento alla regola che l’articolo in esame detta nel suo 3° comma e secondo la quale «la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato». Questa disposizione prevede che sussista un vizio che, ai termini di uno dei primi due commi dell’articolo, dovrebbe fondare la pronuncia della nullità; altrimenti la disposizione stessa non avrebbe ragion d’essere, mancando ogni motivo per una pronuncia di nullità. Ed allora parrebbe contraddittorio, il fatto stesso di ipotizzare un atto che, da un lato, sia privo di un requisito indispensabile per il raggiungimento dello scopo, mentre, dall’altro lato, abbia raggiunto tale scopo. Ma che la contraddizione sia solo apparente, risulta non appena si pensi che la valutazione di indispensabilità per il raggiungimento dello scopo è compiuta dalla legge a priori in base al quod plerumque accidit, mentre, d’altra parte, la constatazione che lo scopo è stato raggiunto avviene a posteriori, e cioè può tener conto di una serie di circostanze, obbiettivamente imprevedibili, ma di cui la realtà concreta è sempre feconda, che abbiano portato al raggiungimento dello scopo, nonostante l’inidoneità intrinseca dell’atto. Se, ad esempio, un atto di citazione manca, nella copia notificata, dell’indicazione della data della prima udienza, è chiaro che non può essere obbiettivamente idoneo alla instaurazione del contraddittorio, quale finalità principale dell’ atto di citazione, poiché sulla base di quell’atto il convenuto non può sapere quando deve comparire: ed infatti, in relazione a ciò, l’art. 164 (nel quadro della regola di cui all’art. 156) commina espressamente la nullità per l’atto di citazione privo del suddetto requisito.

Nulla, infatti, impedisce al convenuto che, avesse interesse al giudizio, di assumere informazioni presso la cancelleria in modo da poter comparire all’udienza stabilita, previa costituzione. Se ciò avvenisse, l’atto, nonostante la sua obbiettiva inidoneità, raggiungerebbe il suo scopo e la nullità resterebbe sanata, in applicazione dell’art. 156, quand’anche una specifica disposizione – l’art. 164 – non contemplasse espressamente tale sanatoria sia pure a certe condizioni ed entro certi limiti.

In conclusione il legislatore, col dettare la regola di cui a questo 3° comma, mentre ribadisce che il criterio fondamentale è quello dell’idoneità a raggiungere lo scopo, enuncia che questo criterio va applicato anteponendo i dati forniti dall’esperienza concreta a quelli forniti dalla prevedibilità astratta.

L’INIZIATIVA NELLA PRONUNCIA DELLA NULLITÀ. NULLITÀ RELATIVE E ASSOLUTE, SANABILI E INSANABILI

L’atto processuale viziato continua a produrre i suoi effetti, sia pure in via precaria, fino a quando non sia sopravvenuta la pronuncia della nullità. Pronuncia da compiersi da parte di un giudice: nel processo di cognizione, il giudice stesso davanti al quale pende il processo, si dice «giudice» nel senso ampio di ufficio giudiziario davanti al quale pende il giudizio. Nel processo di esecuzione, che non è strutturalmente idoneo ad una pronuncia, la pronuncia in discorso è di solito compiuta a seguito di un’autonoma apposita iniziativa della parte interessata, volta all’instaurazione di un giudizio con le caratteristiche della cognizione, de­nominato «opposizione agli atti esecutivi».

Nel processo di cognizione, la pronuncia della nullità non richiederebbe alcuna apposita iniziativa di parte e potrebbe pertanto essere compiuta d’ufficio ad opera del giudice.

Il Legislatore onde evitare, le gravi conseguenze della nullità, ha preferito una soluzione diversa, ha cioè dettato una disciplina che fa dipendere la pronuncia della nullità da un’iniziativa della parte che sarebbe interessata al rilievo del vizio, e la cui eventuale acquiescenza è segno indubbio che il difetto del requisito non ha pregiudicato lo scopo dell’ atto: si tratta in sostanza di un ulteriore corollario del principio della strumentalità delle forme.

Questa è la soluzione di principio, che peraltro non esclude la soluzione opposta – vale a dire quella della pronuncia della nullità anche d’ufficio – ma la consente soltanto per quei casi nei quali, per l’essenzialità del requisito mancante e per la conseguente gravità del pregiudizio, che investe non solo interessi di parte, ma anche l’ obbiettiva regolarità del processo, il legislatore stesso ha espressamente attribuito al giudice di potere pronunciare la nullità anche d’ufficio.

In relazione a ciò, chiamiamo relative le nullità che possono essere pronunciate solamente a seguito di istanza di parte, e assolute le nullità che possono essere pronunciate anche d’ufficio, possiamo dire che le nullità degli atti processuali civili sono di regola relative, salvo che la legge attribuisca loro espressamente i caratteri dell’ assolutezza.

Con riguardo alle nullità relative, la legge si è preoccupata di dettare regole precise per stabilire qual è la parte legittimata a chiedere la pronuncia della nullità; e si è preoccupata anche di stabilire delle precise modalità temporali (con conseguente preclusione) per assumere tale iniziativa.

Il 2° comma dell’ art. 157 dispone dunque che «soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell’atto per la mancanza del requisito stesso, e deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso». Né basta ancora, poiché, ad ulteriore limitazione dell’ambito delle persone che possono far valere la nullità, e in applicazione di evidenti criteri di logica e di equità, il 3° comma del medesimo articolo soggiunge che «la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi abbia rinunciato anche tacitamente».

Queste regole riguardano solo le nullità relative, mentre per quelle assolute la rilevabilità d’ufficio non tollera, almeno in linea di principio, limitazioni neppure d’ordine temporale, sicché, per lo più, tali nullità sono rilevabili in ogni stato e grado del giudizio; soltanto eccezionalmente la legge prevede dei limiti di stato o di grado per la loro pronuncia.

LA NULLITÀ DELLA SENTENZA E LA REGOLA DELL’ASSORBIMENTO DEI VIZI DI NULLITÀ NEI MOTIVI DI GRAVAME

I vizi di nullità restano privi di rilievo fino a quando non sia intervenuta una pronuncia su di essi, da parte del giudice (davanti al quale pende il processo di cognizione. Ciò rende evidente che, per poter costituire oggetto di pronuncia da parte del giudice davanti al quale pende il processo, occorre che la nullità, se relativa, sia fatta valere nei termini dell’art. 157 e comunque prima della pronuncia della sentenza; o, se assoluta, sia rilevata dal giudice al più tardi al momento della pronuncia stessa. Quando ciò accade, il giudice pronuncia la nullità – naturalmente in quanto ne ravvisi i presupposti ed escluda che si sia verificata la sanatoria – con la sua sentenza, che, poi, naturalmente, potrà costituire oggetto della normale serie delle impugnazioni. Inoltre, può accadere che:-la nullità che investe un qualsiasi atto del processo anteriore alla sentenza non sia stata fatta valere o non sia stata rilevata dal giudice prima della pronuncia della sentenza; in tal caso, è possibile che, qualora si tratti di nullità relativa, si verifichi la sanatoria ai termini dell’art. 157; ma è possibile anche che: perché la parte interessata non avesse avuto tempestiva conoscenza del vizio o perché si tratti di tratti di nullità assoluta, non si verifichi alcuna sanatoria; accade allora inevitabilmente che, in applicazione della regola di cui all’art. 159, il vizio investe tutti gli atti successivi dipendenti, compresa la sentenza, che pertanto è da considerarsi nulla;

– la nullità riguardi direttamente e senz’ altro la sentenza, in quanto dipenda dal difetto di un requisito, appunto, della sentenza. In entrambi i casi si verifica il fenomeno della nullità della sentenza e si pone il problema di come e da chi possa effettuarsi la relativa pronuncia, dal momento che, col pronunciare la sentenza, il giudice si è spogliato dei suoi poteri decisorl, almeno sul punto che ha costituito oggetto della sua pronuncia.

àLa regola della conversione (o dell’assorbimento) è enunciata nell’art. 161, secondo cui «la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione». È appena il caso di sottolineare il ruolo essenziale che, nella suddetta proposizione normativa, spetta alla parola «soltanto», ad indicare, appunto, come la decadenza dall’impugnazione per il mancato rispetto delle regole proprie dei singoli mezzi di impugnazione, esaurisce, nella conseguente instaurazione del giudicato, ogni altra possibilità di far valere il vizio compreso, il mezzo di impugnazione successivo.

INESISTENZA E L’IRREGOLARITÀ. LA RINNOVAZIONE. LA NULLITÀ DELLE NOTIFICAZIONI

L’ art. 161, aggiunge che «questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice». Rispetto a questa proposizione occorre, in primo luogo, precisare che cosa si intende col dire «questa disposizione non si applica». La risposta è: non si applica la regola di cui al 1^ comma, ossia la regola detta della conversione o dell’assorbimento; non si applica nel senso che il vizio di nullità può essere fatto valere anche al di fuori e oltre le modalità e i termini propri del mezzo di impugnazione (e cioè specialmente con un’autonoma azione di accertamento mero, con l’ulteriore conseguenza che la decadenza dal mezzo di impugnazione non implica sanatoria del vizio, il quale dunque è tanto grave ed essenziale da privare dell’ efficacia sanante perfino il passaggio in giudicato o, piuttosto, da impedire il passaggio in giudicato. Ed a questo punto, ben si comprende come la dottrina, per spiegare il fenomeno, ricorra alla nozione, appunto, della c.d. «inesistenza», per indicare una fattispecie priva delle basi essenziali perché possa mai verificarsi una sanatoria. Si tratta di una nozione certamente inaccettabile nel suo significato logico e letterale (essendo evidente che, per quanto grave sia il vizio, un «qualcosa» esiste); ma utilizzabile nel suo significato convenzionale di vizio insanabile in modo assoluto, os­sia non sanabile neppure attraverso l’applicazione della regola della conversione dei vizi di nullità in motivi di gravame.

Occorre ora esaminare se il difetto di sottoscrizione del giudice – sia il solo che produce le conseguenze ora vedute o se siano configurabili altri vizi ai quali si possano ricondurre le medesime conseguenze. La dottrina e la giurisprudenza non hanno dubbi nel riconoscere quest’ultima possibilità, così implicitamente attribuendo alla disposizione in esame portata esemplificativa, ossia la portata – essenzialmente sistematica – di fare emergere la possibilità che in taluni casi il vizio può essere talmente grave da impedire perfino il passaggio in giudicato. Ed è appunto in questo senso che si suole utilizzare la nozione della c.d. «inesistenza» come parametro della gravità del vizio di tutti gli atti del processo (e quindi non solo della sentenza), per intendere che, quando esiste quel vizio, il «qualcosa» che è stato posto in essere non è l’atto di cui si tratta. Così, ad es. e per restare alla sentenza, può essere considerata inesistente una sentenza pronunciata da chi non è un giudice, o una sentenza non redatta per iscritto o carente di dispositivo o con dispositivo assurdo o impossibile. Quanto poi alla concreta individuazione di questi vizi, non sembra infondato il rilievo che, per questa individuazione, operano, sullo sfondo, autentici giudizi di valore.

La c.d. inesistenza è l’aspetto più intenso della nullità o se, si vuole, il limite superiore, nel senso che sta ad indicare ciò che è di più della nullità.

Al limite opposto si suole parlare di semplice irregolarità. Con questa nozione-limite si indicano, di solito, i casi in cui il difetto del requisito, in quanto non pregiudica l’idoneità dell’atto a conseguire il suo scopo, non dà luogo a nullità; tuttavia, in taluni casi, la legge si serve di questa espressione proprio per assimilare al regime della nullità – sia pure soltanto sotto certi profili – alcune delle suddette meno gravi difformità dal modello legale.

Quando il giudice pronuncia la nullità, è automaticamente investito, dalla legge di un ulteriore dovere, ancorché subordinato alla presenza di obbiettive condizioni di possibilità.

Il giudice che pronuncia la nullità – enuncia infatti l’art. 162, 1 comma deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti ai quali la nullità si estende». Si tratta – come è facile intendere – di un’ulteriore manifestazione del c.d. principio dell’economia processuale, ossia della propensione del legislatore a limitare il più possibile i danni della nullità. Per la stessa ragione per la quale, nel disciplinare 1’estensione della nullità, si era preoccupato di far salvi gli atti successivi indipendenti da quello viziato, il legislatore si preoccupa qui di imporre, solo che sia possibile, la rinnovazione dell’ atto nullo e di quelli successivi, vale a dire il compimento di un nuovo atto destinato a produrre i medesimi effetti che avrebbe prodotto l’atto colpito dall’estensione della nullità, col conseguente recupero degli atti successivi. Naturalmente, la rinnovazione può essere compiuta spontaneamente dalla parte interessata.

Ma, la legge ha configurato anche l’obbligo del giudice di ordinare la rinnovazione; qui in via generale, ma anche – in taluni casi: v. ad es. l’art. 291 – con disposizioni specifiche. Da ultimo, si deve qui far cenno di una norma la cui collocazione nell’ ambito della disciplina generale delle nullità è alquanto discutibile, ossia l’art. 160 c.p.c. dedicato alla nullità di un atto ben determinato: la notificazione. In applicazione del principio della strumentalità delle forme, questa norma dispone che la notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data.

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