Il processo non è altro che lo svolgimento dell’attività giurisdizionale, è un figurato procedere nel senso dell’alternarsi di poteri e di atti che ne costituiscono l’esercizio, tenendo presente che i poteri sono (insieme alle facoltà e ai doveri) le situazioni giuridiche di dover tenere quel comportamento o di potere tenerlo. In quest’ultimo caso ciò può accadere nel doppio senso per cui per quel soggetto è lecito quel comportamento e dall’altro se il soggetto tiene quel comportamento produce determinati effetti giuridici. Gli effetti giuridici prodotti non sono altro che determinazioni di nuovi soprattutto di potere, se chiamiamo atti giuridici processuali le attuazioni dei comportamenti astrattamente previste come fattispecie dei poteri possiamo dire che il procedere giuridico in cui consiste il processo si realizza attraverso una successione alternata di poteri e di atti. Ciascun atto introduce situazioni giuridiche processuali che in quanto sono di potere introducono altri atti in una serie alternata di atti e poteri nella quale si realizza la dinamica processuale.
Le facoltà non contribuiscono in quanto tali alla dinamica del processo poiché si esauriscono in se stesse senza dar luogo a modificazioni giuridiche e neppure i doveri che peraltro sono spesso valutati come poteri (es. ufficiale giudiziale che notificando l’atto di citazione esercita un potere perché l’atto così compiuto da luogo ad altre situazione giuridiche, ma al tempo stesso assolve a un dovere).
Per lo più i doveri concernono soltanto gli organi del processo.
Gli oneri invece sono poteri formulati come doveri ipotetici.
Le situazioni giuridiche processuali viste fin’ora possono essere dette semplici poiché corrispondono ciascuna ad un singolo specifico comportamento che si realizza con un singolo atto.
Accanto a queste situazioni semplici si possono individuare alcune situazioni che anzicchè rifarsi ai singoli atti concernono l’intera serie di quegli atti considerata globalmente che cioè si riferiscono al risultato unitario del processo. In questo caso si può parlare di un generico e globale dovere decisorio del giudice. In questo senso si parla di dovere decisorio del giudice e di diritto alla tutela giurisdizionale o diritto di azione.
I presupposti del processo
“Presupposto” significa requisito che deve esistere prima di un determinato atto perché da quell’atto discendono determinate conseguenze. Riferendosi al rapporto giuridico processuale, i presupposti processuali sono quei requisiti che debbono esistere prima dell’atto col quale si chiede la tutela giurisdizionale, che è la domanda.
Essi si distinguono in: presupposti di esistenza e presupposti di validità o di procedibilità del processo.
I presupposti di esistenza del processo: requisiti che debbono sussistere prima della proposizione della domanda perché la domanda stessa possa dar vita ad un processo. È costituito da un unico requisito: la giurisdizione, ossia che quel soggetto al quale la domanda verrà proposta, sia un giudice, e quindi sia dotato del potere di giudicare.
I presupposti di validità o procedibilità del processo: requisiti che debbono esistere prima della proposizione della domanda, affinché il giudice sia tenuto a rendere una pronuncia che giunga fino al merito. Essi sono due: la competenza, e quindi che il giudice abbia effettivamente il potere di decidere quella controversia; la legittimazione processuale, ossia il potere di compiere atti nel processo, con riguardo sia al soggetto che chiederà la tutela giurisdizionale sia a quello nei cui confronti la domanda verrà proposta.
Esiste un altro ordine di requisiti che non sono presupposti perché la loro esistenza non è richiesta prima della proposizione della domanda, ma della domanda stessa costituiscono requisiti intrinseci con riguardo al suo contenuto: le condizioni dell’azione.
Le condizioni dell’azione sono tre:
Possibilità giuridica (o esistenza del diritto): che consiste nella esistenza di una norma che contempli in astratto il diritto che si vuol far valere.
Interesse ad agire (art. 100 c.p.c.): l’interesse per cui si agisce o contraddice deve essere concreto (ossia deve sussistere concretamente) ed attuale (ossia deve esistere al momento della pronuncia del giudice). Mancando l’interesse ad agire, il giudice non avrà motivo di portare il suo esame sul merito, ma dovrà arrestarsi al rilievo di tale difetto: difetto di interesse e, quindi, difetto di azione.
Legittimazione ad agire: consiste nella corrispondenza tra colui che agisce (attore) ed il titolare del diritto fatto valere, e tra colui contro il quale si agisce (convenuto) ed il soggetto che ha violato tale diritto. Si possono far valere soltanto quei diritti che si affermano come diritti propri e la cui titolarità passiva si afferma in capo a colui contro il quale si propone la domanda. Quindi “un soggetto agisce in nome proprio per un proprio diritto”. Tale condizione, si può desumere, indirettamente, dall’art. 81 c.p.c., secondo cui “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. Si parla di legittimazione straordinaria1 o sostituzione processuale. Un esempio di legittimazione straordinaria è l’azione surrogatoria, prevista dall’art. 2900 c.c., a favore del creditore nel caso che il debitore trascuri di far valere i propri diritti.