Il sequestro preventivo è una misura prevista dal codice di procedura penale, all’art.321. Viene richiesto dal Pubblico Ministero e deve essere convalidato con decreto motivato dal Giudice per le Indagini Preliminari, GIP, quando la libera disponibilità di una cosa possa protrarre o aggravare le conseguenze di un reato, quando possa consentire la commissione di un nuovo reato o quando è pericolosa. Nel caso, poi, che non sia possibile attendere durante le indagini preliminari il responso del GIP, esso può essere disposto direttamente dal Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria, sempre che la misura sia convalidata dal GIP entro 48 ore dal provvedimento.
Dunque, riassumendo quanto fin qui detto, il codice di procedura penale prevede tre ipotesi di sequestro preventivo
Quando la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa protrarre o aggravare le conseguenze dello stesso, come nel caso di una merce contraffatta, di un immobile abusivo.
Quando vi è il pericolo che la cosa possa agevolare la commissione di nuovi reati, come nel caso di denaro derivante da una rapina.
Quando la cosa è pericolosa, tanto che ne è prevista la confisca. Si pensi al sequestro di materiale esplosivo.
Il sequestro preventivo non si limita a rendere la cosa indisponibile, ma anche a creare un’azione inibitoria, ovvero vincoli di fare e di non fare.
Il GIP valuta se procedere o meno al sequestro senza sentire il possessore della cosa, che può essere l’imputato, ma anche l’offeso o un terzo soggetto. La revoca del provvedimento di sequestro può essere richiesta al GIP dall’imputato o da chiunque ne abbia interesse.
Il limite massimo di tempo di efficacia del sequestro preventivo è l’emanazione della sentenza di primo grado, anche nel caso in cui fosse impugnabile. Contro il decreto di sequestro è ammessa la richiesta di riesame da parte dell’imputato, del suo difensore o del possessore della cosa.
Il sequestro è immediatamente revocato, quando vengono meno, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal comma 1 dell’art.321 c.c.p., ovvero uno dei tre requisiti sopra accennati. Quando l’interessato presenta richiesta di revoca, il Pubblico Ministero, se ritiene che essa vada anche solo in parte respinta, la trasmette al giudice, al quale presenta le sue osservazioni. La richiesta viene trasmessa non oltre il giorno successivo alla data di deposito in segreteria.
Il decreto di sequestro perde efficacia, quando il giudice non lo convalida entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta.
Come sempre, qualcosa in più la definisce la giurisprudenza. La III sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n.40364 del 15 ottobre 2012, ha affermato che i beni costituenti un fondo patrimoniale rimangono nella disponibilità del proprietario o dei rispettivi proprietari, avendo questi solamente un vincolo di destinazione. Di conseguenza, i beni immobili conferiti nel fondo da parte dell’autore di un illecito non possono che appartenere a lui, per cui saranno considerati riconducibili al presunto reo, un fatto che giustifica l’applicazione della confisca e del sequestro preventivo. Quest’ultimo può avere ad oggetto anche il fondo patrimoniale coniugale, poiché i vincoli di disponibilità previsti dall’art.169 del codice civile non riguardano la disciplina penale.
La Cassazione con la medesima sentenza è andata piuttosto oltre, rispetto a quanto sopra scritto, arrivando a legittimare anche la confisca e il sequestro preventivo per equivalente, affermando che la mancanza di nesso diretto tra il reato commesso e la cosa non altera la finalità sanzionatoria del provvedimento. Infatti, quest’ultimo sarebbe giustificato dal fatto che la cosa sequestrata rientra nel patrimonio del reo.
I giudici della Cassazione hanno così respinto il ricorso di un uomo, indagato per vari reati, tra cui associazione a delinquere ed evasione fiscale, il quale aveva chiesto che fosse annullata la decisione del Tribunale del Riesame, che aveva confermato il sequestro preventivo disposto dal GIP di Monza, riguardante beni nella disponibilità del presunto reo fino alla cifra di 213 mila euro. Il ricorrente aveva fatto appello alla Convenzione dell’ONU per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che all’art.3 tutela i diritti del minore, sostenendo che tali beni fossero finalizzati al sostenimento della famiglia e, in particolare, del minore.
Vale la pena ricordare che sono limitate le possibilità di aggredire il fondo patrimoniale appartenente ai coniugi, rientrando tra le convenzioni matrimoniali, riducendo di fatto le garanzie disposte dall’art.2740 c.c., in favore dei creditori, laddove lo stesso sancisce che il debitore risponde delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni.
La giurisprudenza interpreta in modo estensivo il concetto di bisogni di famiglia, legandoli non alla stretta soddisfazione delle necessità quotidiane, ma comprendendo anche il pieno mantenimento e l’armonico sviluppo della famiglia, nonché il potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solamente le esigenze voluttuarie e le finalità speculative.
La Cassazione ha stabilito, in sostanza, che è vero che il fondo patrimoniale serve al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma allo stesso tempo il sequestro dei beni che lo costituiscono è legittimo, in quanto essi sono nella disponibilità del reo e i vincoli previsti dall’art.169 c.c. attengono alla disciplina civile, non anche alla responsabilità penale.
Tornando alla confisca per equivalente, essa riveste un carattere sanzionatorio, perché non attiene tanto all’apprensione dei beni oggetto di profitto da parte del reo, quanto a un valore ad esso equivalente. La Cassazione ha legittimato la pratica, sostenendo che il suo carattere sarebbe afflittivo. In altre parole, il reo è chiamato a pagare con la confisca di beni per un valore equivalente al reato commesso. Dunque, a differenza degli altri casi, qui non vi è un legame tra beni e reato, ma rileva il valore dei primi.
La conseguenza è che non ha rilevanza che tali beni siano riconducibili alla commissione di un reato, né che essi siano di origine illecita, mentre ha rilevanza il solo fatto che essi siano nella disponibilità del reo. Ciò avviene quando il frutto del reato non è rinvenibile, per cui le autorità giudiziarie dispongono il sequestro di beni del reo per un valore equivalente, sempre che tali beni siano nella piena disponibilità del reo stesso e non di spettanza di terzi.
Poco fa abbiamo visto un caso riguardante il reato di evasione fiscale. Ipotizziamo che Tizio abbia evaso il Fisco per un valore complessivo di 500.000 euro, ma che tali minori versamenti non siano rinvenibili, perché non vi è, per esempio, un conto corrente intestato al reo. Di conseguenza, il PM potrebbe disporre il sequestro preventivo di una villa di proprietà di Tizio e per ipotesi del valore proprio dei suddetti 500.000 euro, chiedendo al GIP la convalida del provvedimento.
Tuttavia, quanto appena esposto è un caso esemplare di incompatibilità tra norme vigenti. Infatti, il d.lgs. 231/2001 impedisce la confisca per equivalente per i reati di natura tributaria, mentre la legge 244/2007 proprio tale possibilità, rinviando all’art.322-ter del codice penale.
A questo punto, applicandosi la legge generale, secondo la quale norme incompatibili implicano che quelle anteriori siano considerate abrogate da norme posteriori, deduciamo che oggi sia vigente proprio la previsione del 2007, che di fatto ha abrogato il divieto di confisca per equivalente del 2001. Ma la Cassazione con sentenza 5 marzo 2015 n.10561 ha sancito il divieto di confisca per equivalente, quando non sia dimostrato che il profitto della cosa deriva dal reato tributario e che tale profitto sia nella disponibilità della persona giuridica.