Il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova, disciplinato dagli art. 253 c.p.p. e seguenti, che ha come oggetto il corpo del reato e le cose attinenti. Parliamo del risultato o frutto di un reato, ovvero quello che l’agente ha ottenuto in conseguenza del compimento dell’atto criminoso, oppure il profitto del reato, ovvero il beneficio vantato dalla tenuta della condotta criminosa. Il prezzo del reato, invece, è il compenso erogato o promesso per indurre o istigare un altro soggetto a commettere un reato.
Vediamo come avviene il sequestro probatorio sul piano procedurale. L’autorità giudiziaria competente dispone il sequestro con decreto motivato del corpo del reato e delle cose a questo attinenti, necessario per l’accertamento dei fatti. Qualora vi sia il pericolo che il corpo del reato e le annesse tracce si disperdano, si modifichino o se il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente o non ha ancora assunto la conduzione delle indagini, gli ufficiali della polizia giudiziaria sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti.
Per fare in modo che il sequestro probatorio avvenga nel rispetto delle norme, è importante che il decreto di sequestro venga disposto secondo i requisiti richiesti e risulta essere spesso su di esso che si concentrano le varie interpretazioni. Per prima cosa, bisogna esplicitare la relazione di immediatezza tra la cosa di cui si intende ottenere il sequestro e l’ipotesi di reato. A questo proposito, la Corte di Cassazione ha stabilito che il decreto da idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra la res sequestrata e il reato oggetto di indagine.
Dunque, tra le due cose deve sussistere una relazione di immediatezza, indispensabile sia per delimitare il campo delle cose sequestrabili, ma anche per fare in modo che queste siano effettivamente rappresentative del fatto. L’interpretazione è dubbia, invece, con riferimento alle cose pertinenti necessarie per l’accertamento dei fatti. A questo riguardo, bisogna andare al centro dell’art.253 c.p.p., dove la finalità è, appunto quella di accertare i fatti, per consentire all’autorità competente di decidere.
Pertanto, le motivazioni riportate nel decreto di sequestro rappresentano una garanzia in favore del titolare dei beni sequestrati, perché il sequestro, sottraendogli il potere di disporre e di godere degli stessi, intacca le sue libertà fondamentali. Ecco, quindi, che le motivazioni addotte nel decreto per giustificare il sequestro divengono una sorta di monitoraggio sull’intervento statale, di modo che siano salvaguardati i diritti dell’uomo, come ha interpretato la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Sull’obbligo di motivazione, in riferimento alla concreta finalità probatoria perseguita, la giurisprudenza appare oggi divisa. Secondo una linea interpretativa, il pubblico ministero ha il dovere di motivare anche con riferimento alla finalità probatoria. Sul punto, dunque, il decreto di sequestro dovrebbe non solo accertare e motivare la sussistenza di una relazione di immediatezza tra il corpo del reato e l’ipotesi del reato, ma anche la concreta finalità probatoria, esplicitando le ragioni per le quali il corpo del reato risulterebbe necessario per l’accertamento dei fatti.
A rafforzamento di tale tesi sovviene l’art.354 c.p.p., che stabilisce che il sequestro del corpo del reato non sarebbe obbligatorio, ma che, anzi, gli agenti di polizia giudiziaria devono valutare se sia il caso di disporlo. Anche la Corte di Cassazione ha stabilito che è da considerarsi nullo il decreto emesso dalla polizia giudiziaria nel quale non venga riportata la necessità di disporre il sequestro del corpo del reato a fini probatori.
Una seconda linea interpretativa spiega, invece, che vi è differenza tra corpo del reato e cose a questo pertinenti, rilevando come nel primo sia insita l’esigenza probatoria, per cui le autorità non avrebbero obbligo di motivazione anche in ordine alla necessità del sequestro ai fini dell’accertamento dei fatti.
Con una sentenza delle Sezioni Unite, la Cassazione ha cercato di dirimere una volta per tutte la questione, sostenendo che il decreto, a pena di nullità, deve dare motivazione del sequestro del corpo del reato anche in ordine alla finalità perseguita per l’accertamento dei fatti.
Bisogna chiedersi ora se sia possibile integrare il decreto di sequestro in sede di contraddittorio, qualora fosse stato disposto in difetto di motivazione. Sul punto, l’art. 309, comma 9 c.p.p.. stabilisce che il tribunale può annullare o riformare il provvedimento impugnato per motivi diversi da quelli enunciati, e confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso.
Pertanto, esiste un’interpretazione giurisprudenziale, secondo cui il giudice del riesame può integrare il decreto di sequestro viziato dal difetto di motivazione. Risulta essere come se tra il provvedimento iniziale e l’ordinanza del riesame sussistesse un rapporto di progressività, in virtù della quale il giudice del riesame avrebbe il potere di integrare e completare il decreto per i casi di carenza motivazionale. Un’altra interpretazione, invece, in linea con le Sezione Unite del 2004, segue una linea più garantista, in base alla quale nota come viga il divieto di reformatio in peius del riesame rispetto all’impugnazione della difesa.