Nel diritto processuale civile, si definisce azione di accertamento l’attività giudiziale, finalizzata a eliminare la controversia intorno all’esistenza o meno del diritto soggettivo per cui essa sia sorta. A tale proposito, l’art.2909 del c.c. recita che L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Tutte le azioni di cognizione, comprese quelle di condanna e costitutive, presuppongono un’azione di accertamento, in quanto sono finalizzata alla produzione del giudicato sostanziale. In particolare, l’azione di mero accertamento è del tutto peculiare, in quanto si esaurisce con la dichiarazione dell’esistenza o dell’inesistenza del diritto fatto valere in giudizio.
L’azione di accertamento pone fine, quindi, a una controversia, sorta a seguito della contestazione da parte di un terzo dell’inesistenza o dell’inesistenza di un diritto soggettivo, oppure a seguito del vanto da parte di un terzo di un diritto soggettivo incompatibile con quello dell’effettivo titolare. Nel primo caso, si parla di accertamento dell’esistenza di un proprio diritto o di azione di mero accertamento positivo, mentre nel secondo caso si ha un accertamento dell’inesistenza del diritto vantato da terzi o azione di mero accertamento negativo.
La conseguenza di quanto appena detto è che non ha interesse a agire con un’azione di mero accertamento chi abbia dubbi sulla titolarità di un diritto soggettivo. Per fare in modo, però, vi sia incertezza su questa titolarità è necessario, anzitutto, che essa sia attuale, ossia si presenti nel momento in cui si agisce in giudizio e obiettiva, ovvero si manifesti con atti o fatti concreti, che provengano da terzi e creino una situazione di effettiva incertezza giuridica.
L’azione di accertamento, invece, si definisce incidentale, quando riguarda una questione, la cui risoluzione si configura quale determinante per un’altra principale dedotta in giudizio, ai sensi dell’art.34 c.p.c. In questo caso, essa non ha sempre l’efficacia del giudicato, ma solo quando sia previsto dalla legge o richiesto da una delle parti in giudizio. Negli altri casi, la decisione ha efficacia mera incidentale, ovvero limitata alla sola controversia per cui è sorta e può, quindi, essere oggetto di un giudizio autonomo.
Perché il giudice possa pronunciarsi nel merito, sono necessari alcuni requisiti.
-La formulazione di una domanda giudiziale.
-Deve sussistere potere giurisdizionale in capo all’organo a cui viene posta la domanda.
-Il giudice investito della domanda deve essere competente.
Possono essere distinti tre tipi di azione di accertamento, di cognizione, esecutiva e cautelare. L’azione di cognizione ha lo scopo di ottenere la tutela del diritto soggettivo sostanziale, attraverso la rimozione dell’incertezza sulla sua titolarità, a seguito dell’accertamento del giudice, in merito all’esistenza o all’inesistenza e al modo di essere del diritto soggettivo vantato dall’attore verso il soggetto contro cui l’azione sia stata esercitata.
Si parla di azione esecutiva nel processo di esecuzione forzata, che compete solo al creditore munito di un titolo esecutivo ai sensi dell’art.474 c.p.c. e risulta essere finalizzata a ottenere l’effettivo soddisfacimento del diritto di credito risultante dal titolo, a causa dell’inadempienza contrattuale del debitore. Infine, l’azione cautelare è basilare per il procedimento cautelare, ovvero di quel procedimento teso a verificare la sussistenza delle condizioni per pronunciare un provvedimento provvisorio e a tutela di un suo diritto soggettivo.
A sua volta, l’azione di cognizione può essere distinta in tre tipi, azione di mero accertamento, di condanna e costitutiva. La prima è tesa a ottenere dal giudice il riconoscimento della titolarità del diritto soggettivo o l’inesistenza di un diritto soggettivo vantato da terzi. In questo caso, l’interesse ad agire consiste o nella contestazione da parte di un terzo del diritto soggettivo di cui l’attore chiede l’accertamento positivo o nel vanto da parte di un terzo ad ottenere dal giudice l’accertamento dell’esistenza del diritto soggettivo che l’attore afferma essere stato violato, infine, nell’accertamento dell’inadempimento di detto diritto soggettivo da parte dell’obbligato e nella condanna alla reintegrazione in forma specifica o per equivalente del diritto violato. L’ottenimento dell’azione di condanna da parte del giudice costituisce presupposto per la successiva attuazione coattiva del diritto in sede di esecuzione forzata, ovvero la sentenza ha efficacia esecutiva.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 30/07/2015 ha sentenziato che colui che agisce con l’azione di accertamento, anche negativo, deve essere titolare dell’interesse, attuale e concreto, ad ottenere un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice, attraverso la rimozione di uno stato di incertezza giuridica sull’esistenza del rapporto dedotto nella causa. Nel caso specifico, il giudice ha escluso che i ricorrenti all’azione inibitoria con riferimento allo sfruttamento economico di alcuni film potessero avervi interesse, dato che gli stessi non avevano acquistato validamente i relativi diritti.
Questa sentenzia farebbe almeno parziale chiarezza a proposito del dubbio sempre esistente sulla possibilità di richiedere in ogni caso l’azione di mero accertamento. Tale possibilità è sempre possibile, per esempio, nell’ordinamento tedesco, mentre ci si chiede se in Italia sia il giudice a doverla promuovere.