Il contratto deve contenere elementi essenziali e può contenerne altri accidentali. Gli elementi essenziali del contratto sono quattro, l’accordo tra le parti, la causa, l’oggetto, la forma, se è richiesta dalla legge, pena la nullità.
Il primo sembra, in teoria, il più semplice da definire, quasi come se fosse connaturato al contratto stesso. Invece, in dottrina si sono sviluppati intensi dibattiti sulla rilevanza dell’accordo, ovvero sulla sua natura oggettiva o soggettiva. Tre le teorie. La prima è quella della volontà, secondo la quale nei contratti, così come nei negozi giuridici, una dichiarazione per essere valida ai fini dell’accordo deve essere voluta, dove la volontà non deve limitarsi alla sola dichiarazione stessa, ma anche agli effetti che essa produce, e di conseguenza al contratto. La seconda è la teoria della dichiarazione, in base alla quale rilevare come elemento essenziale del contratto è la volontà esternata dal dichiarante, anche se non corrisponde alla sua volontà interiore. Infine, la teoria precettiva, ai fini del contratto non rilevano la volontà e il fatto oggettivo della dichiarazione, ma l’autoregolamento che le parti raggiungono con riferimento al loro rapporto, noto anche come contenuto precettivo.
Detto questo, vediamo quale teoria segue il nostro ordinamento, Per una questione, diremmo, di praticità, si sostiene che chi effettua una dichiarazione sia tenuto a rispettare la volontà espressa, anche quando non dovesse corrispondere al suo convincimento interiore, altrimenti sarebbe possibile in qualsiasi occasione sostenere di non essere stati realmente intenzionati a sottoscrivere un accordo, senza così assumersi le proprie responsabilità. Il principio in vigore nel nostro ordinamento, quindi, è quello dell’auto responsabilità, ovvero ciascuno deve assumersi la responsabilità di quanto dichiara. Questo principio nasce per evitare che non si possa fare affidamento sulle dichiarazioni altrui, per cui riassumendo possiamo affermare che l’accordo è un elemento essenziale del contratto e che di norma corrisponde all’incontro della volontà tra le parti. Esso si fonda sulla volontà esternata dalle parti, non su quella interiore e ciò per garantire quanti facciano affidamento sulle dichiarazioni altrui, secondo il principio dell’auto responsabilità. Tuttavia, l’affidamento non può essere invocato, quando utilizzando l’ordinaria diligenza si fosse nelle condizioni di notare la divergenza tra volontà espressa e quella interiore del dichiarante. Per fare un esempio estremo, se chi ha firmato un contratto preliminare di compravendita per la cessione di un immobile ha sottoscritto l’accordo sotto minaccia da parte di un terzo soggetto, è evidente che in qualità di acquirenti avevamo avuto una prova tangibile di quanto l’altra parte non fosse realmente intenzionata a siglare il contratto.
Nel linguaggio giuridico, il silenzio, nella maggioranza dei casi, non ha valore. Tuttavia, esistono alcune eccezioni, in cui esso può rilevare. Ciò accade, quando il soggetto avrebbe dovuto per legge o per contratto o per consuetudine esternare la propria volontà in maniera manifesta, attraverso l’obbligo di dichiarazione, oppure quando sulla base dei rapporti intercorsi tra le parti, queste avrebbero dovuto fare chiarezza, secondo i principi della correttezza. Per esempio, nel caso di un contratto di locazione immobiliare a scopo abitativo, le parti possono disdire il rinnovo alla scadenza, ma comunicando la propria volontà con un preavviso di almeno sei mesi rispetto al termine previsto, in assenza del quale il contratto di considera tacitamente rinnovato. Dunque, in questo caso il silenzio ha assunto automaticamente il valore di volontà di rinnovare il contratto. Risulta essere evidente cha la manifestazione di volontà deve provenire, al fine di produrre effetti, da una persona in grado di intendere e di volere e deve essere immune da vizi.
Quanto alla causa, è la ragione economico sociale unica del contratto, per cui, indipendentemente da quale sia il negozio giuridico, non può che essere una sola, come, per esempio, il trasferimento della proprietà da venditore all’acquirente. La causa non va confusa con i motivi, che possono anche essere illeciti, mentre la causa deve essere sempre lecita. Per esempio, se compro un coltello da un venditore, la causa è la compravendita del coltello, mentre il motivo può consistere nella mia volontà di utilizzare il bene come arma, per cui è illecito. L’illiceità dei motivi non influiscono sulla liceità della causa e, quindi, il contratto resta valido.
L’oggetto del contratto può, invece, cambiare, ma deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. Possibile, nel senso materiale e giuridico, lecito, in quanto conforme alle leggi, determinato, cioè individuabile dalle parti, altrimenti il contratto si considera nullo.
Infine, la forma, ossia il mezzo attraverso il quale si manifesta la volontà negoziale. Può essere la scrittura privata, l’atto pubblico. Se è richiesta, la sua inosservanza determina la nullità del contratto, mentre se è richiesta ai fini di prova, il contratto resta valido, anche se la forma è diversa da quella che si richiederebbe per le finalità probatorie.