Il codice di procedura civile consente al creditore di soddisfare le sue pretese nei confronti del debitore in diversi modi, a seconda che l’oggetto del credito sia un bene mobile o immobile e che questo si trovi nella disponibilità del debitore o presso terzi. L’art.543 c.p.c. disciplina proprio due distinti casi di pignoramento presso terzi, ovvero quello in cui il possesso del bene sia presso terzi e quello in cui il debitore vanti crediti verso terzi.
L’atto di pignoramento deve essere notificato al terzo e al debitore e deve contenere l’ingiunzione a non compiere atti dispositivi sui beni e sui crediti assoggettati al pignoramento, come da art.492 c.p.c. Chiaramente, esso deve riportare almeno genericamente la somma dovuta, l’intimazione al terzo di non disporne, se non per ordine del giudice, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune presso cui ha sede il tribunale competente e l’indicazione dell’indirizzo PEC del creditore.
Infine, l’atto deve contenere la citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente, indicando anche il termine per l’udienza, nel rispetto dell’art.501 c.p.c., oltre che l’annesso invito a rendere la dichiarazione prevista ai sensi dell’art.547 c.p.c. entro dieci giorni. In caso contrario, se il creditore compare in udienza, ma non effettua la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso delle cose appartenenti al debitore si considerano non contestati nell’ammontare e nei termini segnalati dal creditore.
L’art.547 precisa che tramite raccomandata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata, il terzo, personalmente o tramite un procuratore speciale o il difensore munito di procura speciale deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando sono dovuti il pagamento e la consegna. Inoltre, deve specificare i sequestri eseguiti presso di lui e le cessioni precedenti, che gli siano stati notificati o accettati.
L’originale dell’atto di citazione viene consegnato al creditore dall’ufficiale giudiziario tempestivamente, in modo che il creditore possa depositare presso la cancelleria del tribunale competente la nota di iscrizione a ruolo, le copie conformi dell’atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro trenta giorni dalla consegna, pena perdita di efficacia del pignoramento.
Se sulla dichiarazione dovuta dal terzo sorgono contestazioni o se questa non viene resa, per cui non è possibile identificare il credito o i beni del debitore in suo possesso, su istanza di parte, il giudice con ordinanza provvede ai necessari accertamenti. Inoltre, dal momento della notifica, il terzo è tenuto a rispettare gli obblighi di custodia dei beni e relativamente alle somme dovute, nei limiti dell’importo a credito precettato, aumentato della metà.
Non sono pignorabili tutti i crediti del debitore verso il terzo. Non lo sono, per esempio, i crediti alimentari, tranne che la causa non riguardi proprio gli alimenti, i crediti relativi a sussidi di grazia o sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri.
Nuove norme sono state introdotte di recente con riferimento ai crediti limitatamente pignorabili, relative al rapporto di lavoro o di impiego. Il decreto legge n.83/2015 ha fissato nuovi limiti. In particolare, le somme dovute dai privati in qualità di stipendio, di salario o di altre indennità relative a rapporti di lavoro o di impiego possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal giudice, mentre il limite è di un quinto per i tributi dovuti allo Stato e agli Enti locali.
Le somme dovute da chiunque a titolo di indennità di quiescenza non sono pignorabili, invece, per un importo superiore alla misura massima mensile dell’assegno sociale aumentato della metà, mentre per la parte eccedente sono pignorabili nella misura prevista per lo stipendio e le altre indennità relative al lavoro o all’impiego.
Nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, se questo è avvenuto prima del pignoramento, le somme possono essere pignorate per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, mentre se è avvenuto contestualmente o successivamente alla data del pignoramento, queste possono essere pignorate nella misura fissata dal giudice e, in ogni caso, per non oltre il quinto. Nel caso in cui il pignoramento superasse i suddetti limiti, sarebbe inefficace per le eccedenze.
Con riferimento ai suddetti limiti, la nuova disciplina ha corretto alcune storture in vigore fino al recente passato. Infatti, prima era possibile pignorare lo stipendio presso il datore di lavoro fino al massimo di un quinto, ma questa limitazione non esisteva se l’azione veniva promossa presso la banca, in cui avveniva il versamento. Da questo derivava che il creditore preferisse promuovere chiaramente la sua azione presso la banca, al fine di non essere assoggettato a tali limitazioni. Visto che oggi quasi tutti i lavoratori si fanno accreditare lo stipendio presso un conto corrente o postale, anche a seguito delle norme sul divieto di uso del contante al di sopra di un certo limite, ne consegue che nei fatti non vi fossero più tutele nei confronti dei soggetti destinatari di un’azione di pignoramento.
Con la riforma cambiano anche altri aspetti non meno significativi, come la competenza territoriale. Oggi è, infatti, competente il Tribunale nella cui circoscrizione risiede, ha domicilio, dimora o ha sede il debitore, tranne che questo sia un Pubblica Amministrazione, per cui, nei casi di controversie con un dipendente, il Tribunale competente sarà quello presso la cui circoscrizione risiede, ha domicilio, dimora o ha sede il terzo.
Come abbiamo visto, il conto corrente bancario o postale o gli altri depositi possono essere oggetto di un pignoramento presso terzi. In questi casi, l’invito a non disporre e a non consentire l’utilizzo del denaro depositato è rivolto alla banca o all’ufficio postale. Di conseguenza, sarà la banca o l’ufficio postale a dover rispondere al creditore, comunicando l’esistenza di un saldo attivo intestato sul conto del debitore e la relativa pignorabilità o meno delle somme. Ovviamente, l’istituto è altresì tenuto a confermare o negare l’esistenza del rapporto contrattuale con il debitore, ovvero se questi abbia ancora presso di esso un conto attivo.
Vediamo cosa succede se il conto è cointestato. Sulla base del combinato disposto tra l’art.1854 e l’art.1298 del codice civile, si presume che le somme depositate presso un conto cointestato lo siano in solido, ovvero si presumono essere ripartibili in misura uguale tra i cointestatari. La conseguenza è che nel caso di pignoramento solo nei confronti di uno dei cointestatari, questo potrà avvenire in misura non eccedente la sua percentuale di detenzione, altrimenti potrebbe esservi contestazione per la parte eccedente da parte del soggetto non coinvolto nell’atto del pignoramento. Pertanto, se il conto è intestato a due persone, di cui solo uno destinatario di un atto di pignoramento, le somme non sono pignorabili per la misura eccedente il 50%. Tuttavia, ciascuno dei titolari potrà dimostrare che la ripartizione sia diversa da quella equa presunta. Chiaramente, è ammessa anche la possibilità di dimostrare che la ripartizione delle somme sia più sfavorevole al debitore pignorato, ovvero che egli possegga una percentuale delle somme depositate superiore a quella presunta. Il conto corrente oggetto di pignoramento non può essere movimentato dal titolare, salvo autorizzazione del giudice.