Il termine essenziale per l’adempimento di un contratto, in base all’art.1457 del Codice Civile, costituisce una delle ipotesi di risoluzione di diritto del contratto al quale è stato apposto. Attenzione, però, perché salvo patto o uso contrario, l’inadempimento dell’obbligazione entro il termine essenziale non comporta automaticamente (ipso iure) la risoluzione del contratto, perché è sempre concessa la facoltà alla parte non inadempiente di scegliere se considerare il contratto medesimo risoluto o meno, a patto che alla controparte sia data notizia entro il termine di decadenza dei tre giorni.
L’intento di rispettare il contratto, nonostante l’obbligazione non sia stata adempiuta entro il termine essenziale fissato, potrebbe desumersi per la giurisprudenza anche da atti dall’interpretazione indubbia.
Ciò che non può essere semmai accettato è che il termine essenziale sia indicato in maniera generica, come le espressioni “entro e non oltre”, anche se potrebbe desumersi dalle formule utilizzate dalle parti contraenti.
La natura del termine potrebbe essere oggettiva o soggettiva, a seconda del fatto che esso sia stato fissato in maniera implicita o esplicita, magari in relazione alla natura della prestazione. Per esempio, si consideri il contratto di fornitura di abbigliamento invernale per un negozio. Per fare in modo che tale contratto sia adempiuto, la fornitura non potrà arrivare a destinazione nel mese di marzo, quando la stagione invernale è di fatto già finita.
Si fa presente che il mancato rispetto del termine essenziale per l’adempimento dell’obbligazione determina la risoluzione automatica del contratto, qualora così scegliesse la parte non inadempiente. Non c’è il bisogna del pronunciamento del giudice per rilevare tale risoluzione e qualora si desse vita a un contenzioso sul punto, si registrerà semplicemente una sentenza dichiarativa della risoluzione contrattuale.
Se il termine è non essenziale, il contratto potrebbe non essere dichiarato risoluto, considerando che l’inadempimento non sia rilevante. La domanda giudiziale, anche se non è accompagnata dalla richiesta di risarcimento del danno, non preclude alla parte non inadempiente di trattenere la caparra, ove questa fosse stata versatagli.
Come sopra accennato, l’articolo a cui fare riferimento per il termine essenziale è il 1457 c.c., che al primo comma stabilisce che “se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni”. Al secondo comma, lo stesso articolo aggiunge che se entro tre giorni dal decorso disatteso del termine essenziale, la parte non inadempiente non manifesta la volontà di esigere ugualmente la prestazione “il contratto si intende risoluto di diritto, anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione”.
La giurisprudenza ha fissato alcuni paletti nella valutazione dell’essenzialità di un termine, come nel caso di sua apposizione in un contratto preliminare di compravendita, in relazione a una scadenza, entro la quale dovrà essere stipulato il contratto definitivo. La Cassazione, con sentenza n.3645/2007, ha stabilito che il suo mancato rispetto qui non determina automaticamente la risoluzione del contratto, perché la valutazione sulla natura del termine è affidata al giudizio di merito insindacabile del giudice, che tenendo conto anche della natura e dell’oggetto del contratto, dovrà decidere se risulti inequivocabilmente dalle parti che oltre tale termine, l’utilità dell’oggetto del contratto sia venuta meno.
Sono sempre i giudici della Cassazione a mettere in relazione l’essenzialità del termine e la valutazione dell’importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto, perché in questi casi il giudice dovrò limitarsi semplicemente ad accertare la sussistenza dell’inadempimento.
In altre parole, se il termine fissato in un contratto è essenziale, in caso di disputa legale il giudice non potrà valutare nel merito se sia il caso o meno di risolvere il contratto, ma dovrà limitarsi ad accertare se l’inadempimento vi è stato e, in caso affermativo, dichiarare la risoluzione del contratto.
Continuando nella disamina delle sentenze della Cassazione, rilevante appare, come sopra accennato, una decisione del 25 ottobre del 2010, n.21838, secondo la quale scrivere nel contratto la locuzione “entro e non oltre” per indicare un termine entro cui adempiere a un’obbligazione non costituisce essenzialità in sé, in quanto va accertato se le parti abbiano voluto intendere una data specifica, decorsa la quale scatterebbe l’inadempimento.
L’impiego di tale espressione è da ritenersi, dunque, per i giudici ermellini insufficiente per assegnare un valore essenziale al termine fissato, ma semmai rappresenta un dato, che va preso in considerazione insieme ad altri, come la succitata volontà delle parti di considerare inutile l’oggetto del contratto, decorso il termine.
Vediamo cosa accade, se il termine non viene proprio indicato nel contratto. La sua mancanza non costituisce motivo di invalidità del contratto, potendo essere aggiunto in via suppletiva, stando all’art.1183 c.c., oppure potendosi chiedere al giudice di fissarne uno. In mancanza del termine, entro il quale stipulare il contratto definitivo, vale la prescrizione decennale, che scatta dalla data di perfezionamento del contratto preliminare di compravendita.
La sentenza dichiarativa della risoluzione del contratto ha efficacia costitutiva, in quanto crea una nuova situazione giuridica, facendo venire meno il vincolo contrattuale. Secondo l’art.1458 c.c., poi, essa ha efficacia retroattiva tra le parti, nel senso che esse devono restituire quanto hanno già ricevuto. Per la possibile iniquità, che potrebbe conseguire a una tale previsione, la retroattività non si applica in alcune situazioni, come per i contratti ad esecuzione continuata o periodica.
Facciamo adesso un esempio pratico per verificare cosa accade nel caso di mancato rispetto di un termine essenziale, fissato in maniera non vaga e correttamente dalle parti. Supponiamo di dare vita a un contratto preliminare di compravendita e di statuire che “il contratto definitivo deve essere stipulato entro il 20 giugno p.v.”.
Se oltre alla data non sono presenti ulteriori precisazioni, il termine non va considerato essenziale. Alla sua scadenza, la parte non inadempiente potrà optare per la risoluzione del contratto, in virtù dell’art.1453 c.c., se l’inadempimento sussiste anche alla data di richiesta di risoluzione, intimare in forma scritta la diffida, che assegni alla parte inadempiente il termine ulteriore di 15 giorni, decorsi i quali il contratto si considera automaticamente risoluto, rifiutarsi di sottoscrivere il contratto definitivo, salvo che la controparte non proponga una nuova scadenza subito successiva al primo termine non rispettato. In questo caso, il rifiuto a contrarre della parte non inadempiente potrebbe essere considerato non giustificato.
Se, invece, il termine indicato nel contratto è essenziale, la parte non inadempiente può manifestare l’intenzione di risolvere il contratto, decorsa tale scadenza, tranne che non sia essa stessa a volere prorogare il termine.
La fissazione di un termine per la stipula di un contratto di compravendita definitivo determina come effetti, che nel caso di trascrizione del contratto di compravendita preliminare, gli effetti di quest’ultima vengono meno, in caso di inadempimento entro il termine concordato o mancata trascrizione della domanda giudiziale, entro un anno dal termine convenuto per la stipula del contratto definitivo. Se il contratto riguarda un bene immobile da costruire, il termine per la conclusione del contratto definitivo deve essere legato a quello dell’eventuale fideiussione, dato che questa è una garanzia a tutela dell’acquirente e valida fino al trasferimento di proprietà dell’immobile.