Il nostro ordinamento consente la vendita di un bene che all’atto della stipula di un contratto non è ancora di proprietà del venditore. Allo stesso modo, consente di vendere a terzi un bene che nel momento in cui viene stipulato il contratto di cessione non è nemmeno venuto ad esistenza. Un esempio tipico riguarda la vendita di un bene immobile ancora da costruire.
Parliamo della vendita di cosa futura, disciplinata dall’art.1472 del Codice Civile, che così recita, Nella vendita che ha per oggetto una cosa futura, l’acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza. Se oggetto della vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo, la proprietà si acquista quando gli alberi sono tagliati o i frutti sono separati. Qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio, la vendita è nulla, se la cosa non viene ad esistenza.
Vediamo, quindi, quali condizioni la legislazione italiana pone per questo tipo di contratti.
La vendita di una cosa futura riguarda un bene non esistente all’atto della conclusione del contratto, ma che verrà ad esistenza in un momento futuro. Pertanto, la proprietà del bene da parte dell’acquirente avverrà nel momento stesso in cui il bene viene ad esistenza. Oltre a un immobile ancora da costruire, potremmo fare l’esempio del raccolto di un fondo agricolo, ancora non fisicamente disponibile.
A questo riguardo, dobbiamo operare anche una distinzione tra beni non ancora esistenti e beni esistenti fisicamente, ma non sul piano giuridico. Questi ultimi potrebbero essere i frutti di un albero. Esistono, ma non sono ancora nella disponibilità del venditore all’atto della stipula del contratto. Dunque, diverranno di proprietà dell’acquirente nel momento in cui saranno raccolti, ovvero staccati dall’albero. Un caso simile si ha con il pesce. Esiste nel mare o in un dato lago o fiume, ma non ancora nella disponibilità giuridica del venditore. Esso diverrà di proprietà dell’acquirente una volta che verrà pescato.
Attenzione, perché nel contratto deve essere esplicitamente indicato che oggetto della compravendita è un bene futuro. Se così non fosse, l’acquirente avrebbe titolo per chiedere la risoluzione del contratto, in quanto questi risulterebbe viziato. Bisogna specificare, quindi, che il bene venduto non è fisicamente ancora esistente o che esso non risulta essere ancora nella disponibilità giuridica del venditore.
La vendita di un bene futuro avviene formalmente come vendita con effetti obbligatori o come vendita con effetti reali differiti, visto che tecnicamente la cessione del bene non può avvenire nel momento in cui il contratto viene stipulato, ma in una data successiva. Si consideri, però, che non rientrano in questi casi i beni di proprietà di terzi nel momento della conclusione del contratto, vendita di beni altrui, per l’appunto, o quelli che non potranno appartenere nemmeno in futuro alla proprietà del venditore. Invece, possono rientrarvi i contratti che abbiano ad oggetto la vendita di diritti futuri, anche se la giurisprudenza vieta, pena la nullità del contratto, la cessione di quote di società ancora da costituire.
L’acquirente o cessionario diventa titolare del diritto di proprietà del bene nel momento in cui esso viene ad esistenza nella sua completezza, non essendo richiesto un atto formale ulteriore. Per esempio, un appartamento venduto ancora prima che venga costruito diventa automaticamente di proprietà dell’acquirente una volta che è stato completamente realizzato. Tuttavia, se ad esso mancano qualche vano e il balcone o altri allestimenti ancora da realizzare, il bene non è formalmente venuto a completa esistenza, per cui la proprietà in capo all’acquirente non può essere trasferita.
Vediamo cosa succede se, una volta che il contratto di vendita di un bene futuro è stato stipulato, il bene non viene ad esistenza. In questo caso, bisogna distinguere diverse ipotesi. Nel caso in cui la mancata esistenza del bene sia dovuta a cause non imputabili al venditore, il contratto diventa nullo per impossibilità dell’oggetto. Si pensi alla vendita di frutti, che a causa del maltempo non verranno mai ad esistenza e, pertanto, non potranno essere raccolti. Essendo la causa del mancato raccolto di forza maggiore, il contratto è nullo. Al contrario, se la mancata venuta ad esistenza del bene è imputabile al venditore, l’acquirente potrà ottenere la risoluzione del contratto e chiedere il risarcimento dei danni.
Attenzione, però, perché questa seconda ipotesi non è detto che possa applicarsi comunque. Se il contratto di vendita di un bene futura prevede la clausola aleatoria, in base alla quale l’acquirente si assume il rischio della mancata venuta ad esistenza del bene, il contratto resta valido e un risarcimento del danno non è chiaramente richiedibile. Tuttavia, si badi bene che tale clausola deve essere espressamente specificata nel contratto.
I contratti di appalto rientrano nella tipologia della vendita di cosa futura. Essi consistono in un rapporto sinallagmatico, per il quale una parte, detta appaltatrice e dotata della necessaria organizzazione, si assume il compito di realizzare la costruzione di un bene immobile o di allestire un’opera o provvedere all’erogazione di un servizio. In sostanza, il più delle volte l’acquirente commissiona nei fatti un immobile non ancora costruito e che diventerà di sua proprietà solo quando sarà del tutto realizzato, ovvero verrà ad esistenza.