La clausola risolutiva espressa è prevista all’art.1456 del codice civile e consiste nella possibilità di inserire in un contratto una pattuizione in base alla quale questi viene risolto nel caso di inadempienza dell’obbligazione contenuta.
Tuttavia, la risoluzione del contratto non avviene automaticamente per il solo fatto che una parte non abbia adempiuto all’obbligazione, ma solo sulla base della volontà espressa della parte non inadempiente di volersene avvalere.
Dunque, essa consiste in una facoltà del contraente creditore di annullare il contratto. In alternativa, esso può agire per ottenere comunque l’adempimento della controparte. La dichiarazione può avvenire in qualsiasi tempo, sempre che non siano decorsi i termini della prescrizione ordinaria dei 10 anni.
La risoluzione del contratto è subordinata, quindi, alla manifesta volontà della parte non inadempiente di volersi avvalere della clausola pattuita. Questa manifestazione di volontà si configura quale presupposto legale per fare realizzare gli effetti risolutori.
Una volta che la comunicazione della volontà di volere risolvere il contratto sia stata inviata alla parte inadempiente, quest’ultimo può reagire con l’adempimento dell’obbligazione, ma il contraente creditore ha ugualmente facoltà di rifiutare tale adempimento, considerandolo tardivo, mantenendo la volontà di risolvere il contratto.
Pertanto, la clausola risolutiva espressa rappresenta uno strumento importante per la parte contraente adempiente e creditrice, perché l’inadempienza contrattuale della controparte non sia considerata lieve, ma assurta a rango di inadempimento non lieve, ponendo fuori gioco la valutazione di non scarsa importanza contenuta nell’art.1455 del codice civile.
In altre parole, se nel contratto non fosse inserita la clausola risolutiva espressa, la parte creditrice potrebbe avvalersi della facoltà di risolvere il contratto, solo se l’inadempienza della controparte risultasse grave. Questa è la disciplina generale. Con l’inserimento, invece, della clausola risolutiva espressa, l’inadempienza della controparte diventa automaticamente di non scarsa importanza e ciò consente alla parte creditrice, sempre con le condizioni sopra abbozzate, di giungere alla risoluzione del contratto.
Per fare in modo che, però, questa clausola possa avere efficacia, è determinante che essa sia circostanziata e non generica. Se si prevedesse, ad esempio, che qualsiasi inadempienza della parte debitrice costituisce motivo per consentire alla parte creditrice di avvalersi della risoluzione del contratto, tale previsione sarebbe puramente di stile, formale e perderebbe quei connotati concreti, rispetto ai quali, invece, il legislatore ha inteso produrre una garanzia in favore della parte non inadempiente.
Attenzione anche a un altro aspetto, ovvero all’impossibilità per una clausola risolutiva espressa di aggirare la disciplina generale, che prevede il limite della gravità dell’inadempimento in ipotesi specifiche, ai fini della risoluzione. Si consideri il caso dell’affitto di un fondo rustico, materia per la quale il legislatore ha provveduto a garantire tendenzialmente di più l’affittuario. Ebbene, nel caso di un suo inadempimento contrattuale, la deroga alla disciplina generale viene considerata valida, a patto che le previsioni contrattuali siano avvenute in presenza delle associazioni di categoria.
Vediamo come opera in concreto la clausola risolutiva espressa. Di essa ci si avvale con una comunicazione alla controparte, che manifesti la volontà di esercitare tale previsione contenuta nel contratto. Essa ha natura di atto unilaterale, non connotato di alcuna forma particolare.
A questo proposito, è stato affermato che la condotta tollerante della parte non inadempiente con riferimento all’inadempienza contrattale della controparte sarebbe la prova che non intenda avvalersi della clausola risolutiva espressa. Sul punto è intervenuta la Cassazione, che ha chiarito quanto segue: ai fini dell’interpretazione della volontà della parte non inadempiente è decisivo verificare la manifestazione espressa. Una condotta iniziale tollerante o anche un’azione volta alla pretesa di adempimento dell’obbligazione della controparte non escludono che successivamente ci si possa avvalere anche della risoluzione del contratto.
Potrebbe sorgere una qualche confusione tra la clausola risolutiva espressa e la condizione risolutiva per inadempimento. Questa è la clausola, che configura l’inadempimento come evento dedotto sotto condizione di carattere risolutivo. In altre parole, esso opera sul piano dell’efficacia ex tunc e verso terzi, ovvero come se il contratto non fosse mai avvenuto. Di conseguenza, ha efficacia retroattiva. La clausola risolutiva, invece, opera sul piano del rapporto sinallagmatico, facendo venire meno gli effetti negoziali tra le parti, ma non verso i terzi.
Altra differenza si ha tra la clausola risolutiva espressa e il termine essenziale. Il decorso infruttuoso di questo conduce alla risoluzione di diritto del contratto. In questo caso, però, è sufficiente che siano trascorsi tre giorni dalla scadenza pattuita del termine, perché il contratto si consideri risolto automaticamente, non essendo necessaria alcuna comunicazione, come con la clausola risolutiva.
Pertanto, possiamo concludere affermando che la clausola risolutiva espressa ha efficacia, a patto che esista una varietà di condizioni, la prima delle quali consiste nell’indicazione delle fattispecie, che facciano scattare l’inadempimento, tale da consentire alla parte non inadempiente di avvalersi dell’esercizio della clausola medesima. Successivamente, questa deve manifestare alla controparte la volontà di avvalersene, indipendentemente dalla condotta iniziale, anche se sia stata tollerante o volta a pretendere l’esecuzione del contratto. Su tutto, poi, prevale la disciplina generale, che non è derogabile.